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Dasà, il vescovo Attilio Nostro illustra la figura di Gino Bartali agli studenti dell’Ic D’Antona

Appassionante coinvolgente, e, a tratti, commovente l’incontro di venerdì alla biblioteca “Salimbeni” di Dasà, dove il vescovo, Attilio Nostro, ha tenuto una “Lectio Magistralis” su Gino Bartali agli alunni delle terze medie del comprensivo “G. d’Antona” di Acquaro (comprendente anche Dasà, Arena, Piani, Dinami e Monsoreto). Una manifestazione voluta da parrocchia, retta da don Bernardino Comerci, comune, guidato da Raffaele Scaturchio, istituto comprensivo, diretto da Concetta Perri, e movimento Aquila Rossa. Presenti sindaco e componenti dell’amministrazione, parroco, preside e docenti e i carabinieri di Arena il vescovo ha tracciato la figura del campione, non solo sportivo ma di umanità e solidarietà, “capace di dare un sorriso/sostegno agli altri” e dichiarato “Giusto tra le nazioni” per aver salvato molti ebrei, mettendo a repentaglio la propria vita e quella dei familiari, all’oscuro di questa attività.

Una storia sportiva legata all’olocausto, in cui Bartali, usando gli allenamenti come copertura, con il coinvolgimento degli allora cardinale e rabbino di Firenze, trasportava nascosti nel telaio della bici documenti falsi destinati alle suore di clausura, che li avrebbero trasferiti a una tipografia per la stampa (per permettere a tanti ebrei di lasciare l’Italia). Non solo. Nello scantinato di una casa di campagna ha salvato la vita a un’intera famiglia. Non pago ha anche contribuito a evitare una guerra civile: in seguito all’attentato a Palmiro Togliatti, segretario del Pci, una parte della società civile era in fermento; De Gasperi e Andreotti, presidenti della Repubblica e del consiglio, chiamarono Bartali, allora al Tour de France, e gli chiesero di “distrarre” le masse vincendo la competizione. Un’impresa ardua che lui, tappa, dopo tappa riuscì a conquistare (nonostante i 25 minuti di distacco dal primo, Luis Bobet). Quando nel Paese si diffuse la notizia della vittoria (e a piazza Duomo, a Milano, stava scoppiando una sommossa contro la polizia) gli animi si rasserenarono e la guerra fratricida fu scongiurata (al suo ritorno venne portato in trionfo ai fori imperiali come salvatore della patria e ricevuto dal Papa). Ha, poi, contribuito a salvare un gruppo di bambini, accompagnati da un frate al treno in una stazione di Firenze. Per impedire l’ispezione del convoglio urlò, attirando su di sé l’attenzione dei tedeschi, che, conoscendone le gesta, si concentrarono su di lui e non controllarono il treno.

Terziario carmelitano (il suo nome era fra Tarcisio e volle essere seppellito con il saio bianco dell’ordine), Bartali fu membro dell’Azione Cattolica e l’unico rammarico che ebbe quando appese la bici al chiodo (lo scrisse al cardinale di Firenze), fu che non poteva pregare come aveva fatto fino ad allora (gli allenamenti erano l’occasione principale). Insomma, una bella storia raccontata da un appassionato che, presentatosi in sala con la propria bicicletta (trasportata nel bagagliaio dell’auto) ha catturato l’attenzione e l’interesse dei presenti. D'altronde il personaggio di cui ha parlato merita di essere maggiormente valorizzato. E, forse (non “ha potuto dirlo” il vescovo), c’è in corso una causa di beatificazione per un campione che ha glorificato l’Italia pedalando non solo per vincere titoli.

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