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Catanzaro, Capomolla: a volte nella pubblica amministrazione percezione accomodante della legalità

Il procuratore aggiunto di Catanzaro, Vincenzo Capomolla sul provvedimento nei confronti di Maria Gabriella Rizzo e Laura Miceli, la dirigente regionale e l'imprenditrice finite ai domiciliari con l'accusa di corruzione.

«Lo chiameremo Lauro». Così scherzava la dirigente del settore Turismo della Regione Calabria, Maria Gabriella Rizzo, all’epoca dei fatti responsabile per la trasparenza e la prevenzione della corruzione, riferendosi a un bando che avrebbe dovuto essere «ritagliato su misura» per l’imprenditrice Laura Miceli. E’ uno degli elementi di cui si è parlato nel corso della conferenza stampa indetta dalla Guardia di finanza di Catanzaro che, coordinata dalla Procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, ha eseguito un’ordinanza di arresti domiciliari per le due donne.

L’operazione, denominata «É dovere», ha messo in luce lo stretto rapporto tra Rizzo e Miceli. Un rapporto nel quale la Rizzo aveva asservito la propria funzione - ha spiegato il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla - a favorire gli interessi della Miceli dalla quale riceveva in cambio regalie, come viaggi, pranzi o vino pregiato. «Quello che si registra è un contesto in cui vige una debole percezione della legalità», ha detto Capomolla che ha coordinato le indagini insieme ai pm Graziella Viscomi e Giulia Tramonti.

«Le indagini - ha detto il colonnello Carmine Virno, comandante del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza - dimostrano quanto la dirigente fosse asservita gli interessi della Miceli, alla quale forniva anche un’attività di consulenza che riguardava non solo i bandi in corso ma anche bandi futuri, dando informazioni in anteprima e questo a discapito di tanti operatori onesti». «Alcuni fatti penalmente rilevanti - ha detto Capomolla - possono insorgere proprio perché in alcuni contesti della pubblica amministrazione c'è una percezione debole e accomodante della legalità. Questo mostra una pubblica amministrazione che appare arrendevole alle tentazioni che possono provenire da soggetti interessati e pronti a insinuarsi proprio in questa arrendevolezza offrendo delle utilità indebite al funzionario che si presta a dirigere i suoi compiti nell’interesse del privato e non della collettività».

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