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Altre cosche hanno preso il posto dei Giampà

L’operazione “Medusa”che ha decapitato una delle più potenti e agguerrite cosche lametine «ha determinato uno sconvolgimento degli assetti criminali nel territorio e inevitabilmente ha lasciato spazio ai gruppi criminali meno colpiti dalle misure cautelari». Di questo ne è convinto il consigliere Maria Vittoria De Simone, estensore della relazione sul fenomeno mafioso nel distretto di Catanzaro della Dna, che auspica «un’ac - celerazione delle indagini per sconfiggere la ‘ndrangheta che manifesta la sua volontà di controllare tutte le attività economiche e politiche presenti sul territorio ». Uno scenario criminale, quello lametino, che per qualche tempo non ha creato grossi problemi anche perché «tra le cosche mafiose era stata raggiunta una pax mafiosa che non ha avuto lunga durata », come dimostrano una serie di omicidi consumati nel 2011. Pace che si sarebbe interrotta con l’eliminazione di Vincenzo e Francesco Torcasio, e di Nicola Gualtieri, omicidi secondo il relatore che «hanno assunto particolare significatività per le ricadute che hanno determinato sugli assetti criminali locali». Alla ricostruzione delle vicende criminali della cosca Giampà hanno contribuito diversi collaboratori di giustizia, alcuni meno recenti, altri in epoca più recente, «per uno dei quali le dichiarazioni sono state già valutate ampiamente attendibili dalle autorità giudiziarie dei Tribunali di Milano e Reggio Calabria nell’ambito dei processi scaturiti dalle indagini denominate “Infinito”e“Crimine”». Ma l’aiuto dei collaboratori di giustizia, un tempo definiti pentiti, sta consentendo «verosimilmente di approfondire i legami tra gli apparati criminali veri e propri e la cosiddetta “zona grigia” della ‘ndrangheta»: con tale espressione la consigliera De Simone intende riferirsi «ai ceti produttivi, agli apparati professionali (tra i quali, in primo luogo, quelli operanti nel settore della giustizia e della finanza, quali avvocati, periti medico legali, commercialisti) » in collegamento con i sodalizi criminali. Per De Simone «l’ap - porto collaborativo reso ha consentito di individuare i responsabili di gravi episodi omicidiari come l’omicidio in danno di Federico Gualtieri e Domenico Zagami, entrambi attribuiti alla cosca Giampà, come emerge dalle due ordinanze di custodia cautelare eseguite, tra gli altri, anche nei confronti di Giuseppe Giampà». Nella ricostruzione la De Simone fa anche riferimento all’arresto di Francesco Vasile, ritenuto «il braccio armato della cosca Giampà », al quale sono stati contestati gli omicidi di Francesco Torcasio e Vincenzo Torcasio, commessi in concorso con Giuseppe Giampà, Angelo Torcasio (entrambi collaboratori di giustizia), Alessandro Torcasio e Maurizio Molinaro, omicidi «strategici che si inseriscono nell’ottica ‘ndranghetistica della sanguinosa contrapposizione tra i due clan lametini (Giampà contro Cerra-Torcasio-Gualtieri) finalizzata al predominio sul territorio ». Per il magistrato della Dda «nell’individuazione dei responsabili degli omicidi commessi nell’ultimo anno nel lametino hanno assunto importanza decisiva le scelte collaborative intraprese da molti affiliati alla cosca Torcasio e alla cosca Giampà, e in particolare dallo stesso reggente Giuseppe, figlio di Francesco Giampà detto “u prufissuri”». Collaborazioni che «hanno consentito di ricostruire l’organigramma, le modalità operative, le articolazioni e le alleanze della cosca Giampà: un sodalizio criminoso immutato quanto all’area di operatività e al ruolo di vertice da sempre riconosciuto a Francesco Giampà’, detenuto, ma ancora in grado d’impartire ordini e direttive dal carcere, parzialmente rinnovato quanto alle famiglie/’ ndrine che costituiscono parte integrante della stessa cosca (Notarianni e Cappello) e quanto alle alleanze con le simili associazioni criminali del clan Iannazzo di Sambiase, degli Anello di Filadelfiae dei Bellocco di Rosarno, e con ramificazioni in Giussano (Monza-Brianza)».

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