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Tempesta di piombo
sui coniugi Bruno

Potrebbe essersi appostato dall’altro lato della strada nascosto dall’oscurità e, non appena ha visto i coniugi uscire dalla villetta, potrebbe essere balzato fuori dal suo nascondiglio e aver sparato col kalashnikov che aveva con sé. È questa una delle ricostruzioni dell’agguato di lunedì sera a Vallefiorita, un centro collinare del Catanzarese, costato la vita a Giuseppe Bruno, 39 anni, e alla moglie Caterina Raimondi, 29 anni. I due (il marito titolare di una agenzia viaggi e gestore di un bar a Squillace Lido, mentre la moglie gestiva un negozio di detersivi) vivevano in una villetta in località “Mortilla-Torre di Pepe”, nei pressi del bivio che porta al vicino paese di Palermiti. La zona è isolata rispetto al centro urbano e priva d’illuminazione pubblica. Probabilmente proprio per sentirsi al sicuro Bruno aveva fatto costruire una recinzione intorno all’abitazione, con un muretto sul quale erano stati collocati dei pali in metallo che sorreggono delle reti verdi per la quasi totalità del recinto. Impossibile, quindi, per il killer, avvicinarsi per sparare da un’altra angolazione se non quella dell’ingresso principale. E con molta probabilità il sicario sapeva che la coppia lunedì sera sarebbe dovuta uscire. Ha aspettato Bruno e consorte davanti casa e, non appena i due hanno tentato di salire sul loro Suv Toyota Rav4, è partita la raffica di proiettili. Bruno è stato colpito al petto e alla testa mentre la moglie è stata attinta in faccia e alla testa. I due sono morti sul colpo. Poi il killer si è allontanato, complice l’oscurità, non prima di buttare il kalashnikov vicino ai due corpi. Il conducente di un’autovettura di passaggio, parecchi minuti dopo l’agguato, ha notato i fari dell’automobile accesi, ma non si è fermato. Successivamente, facendo ritorno da un distributore di carburante, ha deciso di avvicinarsi alla Toyota, si sarebbe accorto dei due corpi a terra e avrebbe dato l’allarme. Sul posto sono immediatamente giunti i carabinieri della Compagnia di Girifalco, competente per territorio, guidati dal capitano Vitantonio Sisto e dal luogotenente Pasquale Mendicino, che hanno effettuato i primi rilievi, oltre ai colleghi del reparto operativo provinciale, guidato dal colonnello Giorgio Naseli e dal suo vice, il capitano Carlo Caci. Gli specialisti dei carabinieri hanno repertato nelle vicinanze dell’agguato circa trenta bossoli esplosi dalla micidiale arma russa. Nel frattempo, sono stati anche allertati e giunti poco dopo sul posto i patologi forensi dell’Università Magna Græcia, Giulio Di Mizio e Federica Colosimo. A loro il compito di effettuare un primo esame esterno sulle salme. I corpi dei due coniugi sono stati quindi trasferiti nell’obitorio del policlinico universitario, a Germaneto, dove nelle prossime ore sarà eseguita l’autopsia che servirà esclusivamente ad avere la certezza del tipo di arma utilizzata e a sgombrare i dubbi sulla dinamica. Nel frattempo, i carabinieri, dopo aver sentito i parenti della vittima e inviato il kalashnikov al Ris di Messina per gli accertamenti del caso, stanno scavando nel passato di Giuseppe Bruno. Gli investigatori sono convinti che l’obiettivo dell’agguato fosse proprio lui e la moglie sarebbe stata una vittima innocente, “colpevole” solo di essere rimasta troppo vicino al marito. L’uomo, secondo gli investigatori, è il fratello minore di Giovanni Bruno, proprietario di una latteria, ucciso nel maggio 2010 proprio a Vallefiorita mentre si trovava nella sua auto nei pressi della casa dove viveva con l’anziana madre. L’uomo, secondo gli inquirenti, era considerato il boss del paese e non sarebbe da escludere che il fratello minore avesse preso il suo posto nella gestione delle attività illecite del comprensorio. Secondo i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia, che hanno assunto il coordinamento delle indagini, quest’ultimo fatto di sangue sarebbe da ricondurre alla cosiddetta “Faida del Soveratese” che conta già numerose vittime. Ipotesi da non sottovalutare anche se il contesto in cui sarebbe maturato è tutto da inquadrare. Anche perché, negli ultimi due anni, le forze dell’ordine avevano assestato un duro colpo alla criminalità organizzata del comprensorio con l’esecuzione di numerosi provvedimenti di custodia cautelare in carcere che, all’atto pratico, avevano avuto anche l’effetto di aver fermato quella scia di sangue che sembrava interminabile. Da lunedì sera il clima che si respira è di nuovo quello di oltre due anni fa.

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