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«Le cosche cercano
d’inquinare le prove»

«Sotto un profilo geo-criminale, nell’area tirrenica, risultavano storicamente dominanti le cosche facenti capo alle famiglie Giampà e Iannazzo, queste ultime, dopo un periodo di forte conflittualità, avevano stipulato un accordo finalizzato alla spartizione delle parte più significativa del territorio urbano ». È quanto scrive il magistrato della Direzione nazionale antimafia, Maria Vittoria De Simone, coordinatrice per il Distretto di Catanzaro, nell’ambito della relazione annuale della Direziona nazionale antimafia, nel ricostruire sul piano storico giudiziario il fenomeno criminale che interessa la nostra città. Un accordo, quello decritto dal magistrato, nato subito dopo la scissione interna al gruppo Giampà-Cerra-Torcasio , rottura nata a seguito dell’operazione “Primi Passi”, con un conseguente avvicinamento del gruppo facente capo a Francesco Giampà, detto “il professore”, agli avversari Iannazzo. Oggi con l’operazione”Medusa” gli equilibri criminali, nell’area lametina, presentano una forte instabilità, essendo in atto un processo di ridefinizione delle aree di controllo del territorio fra i gruppi storicamente operanti in questo contesto, anche alla luce della “decapitazione” di una delle cosche che gli investigatori ritenevano dominante, cioè quella dei “Giampà”. Organizzazione decimata con gli arresti operati dalla Direzione distrettuale antimafia nel mese di giugno dello scorso anno, con l’esecuzione di ben 36 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettante persone tutte considerate affilate al clan Giampà. Tra i destinatari del provvedimento il capo della cosca Francesco Giampà detto “il professore” e il figlio Giuseppe poi diventato collaboratore di giustizia. Collaboratori di giustizia che per la coordinatrice della Dna del Distretto catanzarese «rappresentano uno strumento irrinunciabile di acquisizione conoscitiva e probatoria». Valutazioni, quelle del magistrato, che «trovano conferma nell’esito positivo delle verifiche giurisdizionali nei procedimenti penali fondati sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonostante la costante azione d’inquinamento e di intimidazione messa in atto dalle organizzazioni criminali minacciate dalle loro rivelazioni». Rivelazioni che hanno consentito alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro di mettere a segno l’operazione “Medusa”. E facendo riferimento a tale importante operazione, il relatore del distretto di Catanzaro mette in evidenza come «non può tacersi che i risultati ottenuti, oltre che frutto dello straordinario impegno degli apparati investigativi, sono riferibili al contributo di numerosi collaboratori di giustizia, tutti ricoprenti un ruolo elevato nella gerarchia criminale del clan Giampà e Torcasio». Tali collaborazioni, spiega nella sua relazione il consigliere De Simone, «non sono maturate casualmente, ma hanno rappresentato il frutto della pressione investigativa e giudiziaria sul territorio, che ha di fatto decapitato quella che doveva essere considerata come la più potente organizzazione operante in città». Ed in tale contesto «è maturata anche la decisione del vertice del clan Giampà, di intraprendere un percorso collaborativo con la giustizia, tale apporto si presenta potenzialmente di eccezionale portata e rilevanza», che ha anche «consentito d’individuare i responsabili di gravi episodi omicidiari come l’omicidio in danno di Federico Gualtieri e Domenico Zagami, entrambi attribuiti alla cosca Giampà, come emerge dalle due ordinanze di custodia cautelare eseguite, tra gli altri, anche nei confronti di Giuseppe Giampà» ed inoltre gli autori e i mandati degli omicidi «di Francesco e Vincenzo Torcasio, commessi in concorso con Giuseppe Giampà, Angelo Torcasio (entrambi collaboratori di giustizia), Alessandro Torcasio e Maurizio Molinaro», omicidi strategici, spiega il magistrato, «che si inseriscono nell’ottica ‘ndranghetistica della sanguinosa contrapposizione tra i due clan lametini (Giampà contro Cerra-Torcasio-Gualtieri) finalizzata al predominio sul territorio ». Omicidi quest’ultimi risolti grazie anche alla collaborazione di Francesco Vasile, ritenuto «il braccio armato della cosca Giampà», fermato e poi tratto in arresto l’11 ottobre 2012 dello scorso anno, poi diventato collaboratore di giustizia. Per il consigliere De Simone non vi sono dubbi che «per l’individuazione dei responsabili degli omicidi commessi nell’ultimo anno nel territorio lametino hanno assunto importanza decisiva le scelte collaborative intraprese da molti affiliati alla cosca Torcasio e alla cosca Giampà, ed in particolare dallo stesso reggente Giuseppe Giampà, figlio di Giampà Francesco detto “u professura”. L’area territoriale maggiormente interessata della provincia di Catanzaro da fenomeni di collaborazione è Lamezia Terme». Nell’ultimo anno sono diventati collaboratori di giustizia nove soggetti tutti appartenenti alla cosca “Giampà” ed esattamente Angelo Torcasio, Battista Cosentino, Rosario Cappello, Saverio Cappello, Giuseppe Cappello, Giuseppe Giampà, Franca Teresa Meliadò, Francesco Vasile, il killer della cosca Giampà, e Umberto Egidio Muraca. Negli anni precedenti si erano pentiti Giuseppe Angotti, Rosanna Notarianni. Tra i pentiti che hanno collaborato con la Dda di Catanzaro Francesco Michienzi, Guglielmo Capo e Antonino Belnome.

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