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Mensa scolastica, la
rivolta delle mamme

Quando il diritto allo studio non passa più da banchi di scuola o competenze delle istituzioni, ma viene delegato a chi ha la possibilità o meno di pagare i buoni pasto, la situazione diventa incandescente. Da circa un mese la “questione mensa” tiene banco dentro e fuori l’aula rossa di Palazzo De Nobili e la città, anche su questo, si divide, si agita e discute. A due mesi dalla conclusione dell’anno scolastico, la tensione è salita anche nella scuola elementare Siano- Sud dove i genitori hanno deciso di protestare non solo per l’elevato costo dei carnet ma anche e soprattutto per quella specie di clausola non scritta che non permetterebbe la permanenza in classe oltre le 12.30 (orario nel quale arriva il cibo in aula) degli alunni che non aderiscono al servizio. Infatti, da qualche giorno non viene più consentito ai genitori di far consumare ai propri figli una colazione preparata a casa per poi riprendere al termine le attività scolastiche, così come gli altri compagni “paganti”. Da qui la rabbia dei genitori che catapulta la faccenda in un contesto difficile da analizzare, strano da comprendere così come i motivi per i quali ad una famiglia monoreddito con più figli a carico non sarebbe permesso di decidere, non solo per aspetti economici, di non far mangiare al proprio bambino un pasto preparato in mensa piuttosto che un panino portato da casa. «Perché –si domandano i genitori –obbligare a tutti i costi l'adesione al servizio e/o barattarla con l’impossibilità di seguire poi le lezioni del pomeriggio?» . Organizzata una manifestazione di protesta ieri mattina, le famiglie chiedono risposte e attenzione. «C’è tanta, tanta gente – dico - no – che non può permettersi di pagare 62,20 euro al mese. Non si tratta di una questione di principio, ma in tempi di crisi come quelli che stiamo attraversando per noi è davvero impossibile sostenere tale spesa. Nonostante questo, poi – hanno spiegato a gran voce i presenti – ci proibiscono di far portare ai nostri bambini il pranzo da casa dimostrando, ancora una volta, che nessuno, a partire dalle istituzioni, ci è saputo venire incontro. Fino a poco tempo fa, abbiamo gestito autonomamente le cose affidando la mensa ad una ditta privata che ci favoriva offrendo il servizio a prezzi accessibili. Il Comune ha però optato diversamente non tenendo conto delle esigenze nostre e dei bambini ». Il messaggio è chiaro: «Stanno calpestando la nostra dignità e i nostri diritti, non facendo rispettare agli alunni neppure l’obbligo del tempo prolungato visto che, in tali circostanze, siamo costretti a farli uscire alle 12.30 e non alle 16 come previsto dalla regolamentazione del consiglio d'istituto. Fare pranzare i bambini a casa, infatti, e riportarli poi a scuola sarebbe per noi un ulteriore peso se si considera il costo della benzina e il  così dal lavoro>>. Mamme inferocite che non escludono denunce in sede penale, pronte anche e a manifestare il proprio malessere a Palazzo De Nobili, «se non altro per far sì che ci venga consentito di portare il pranzo da casa senza l’obbligo di dover per forza acquistare i buoni. Non chiediamo che venga modificato il costo ma che si preveda l'allargamento delle fasce di esenzione. Infatti – hanno spiegato le mamme nello specifico –il tetto massimo per l’esclusio - ne dal pagamento è pari a 1.500 di reddito Isee, somma raggiunta da pochissime famiglie; gli altri, pur vivendo in condizioni non agiate, vengono messi sullo stesso livello dei ceti alti».

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