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Giampà riferisce che
un omicidio costava
in media 20 mila euro

giampà giuseppe

Riprenderà questo pomeriggio il processo nei confronti delle 36 persone tratte in arresto nel mese di giugno dello scorso anno nell’ambito dell’operazione “Medusa” e che si sta celebrando davanti al giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro Giovanna Mastroianni, contro capi e gregari della famiglia Giampà. C’è attesa per la ripresa dell’udienza, che inizierà con la prosecuzione della discussione di altri 3 difensori e proseguirà, come annunciato nella precedente udienza, con le dichiarazioni spontanee di Giuseppe Giampà, detto “capu randi”, il figlio del “professore”, anche lui imputato nel processo e diventato collaboratore di giustizia. L’attesa è soprattutto per quello che riferirà l’ex capo della cosca “Giampà” che, dall’inizio della sua collaborazione e fino al 31 marzo scorso, ha svelato tutto ciò che riguarda la sua organizzazione. Gli ultimi verbali di “capu randi”, risalgono agli ultimi tre mesi del 2013, all’interno dei quali sono state riportate le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, nei primi mesi della sua collaborazione. Verbali che sono stati depositati il 27 marzo scorso, cioè tre giorni prima che scadesse il periodo di tempo entro il quale il perntito dichiara la sua disponibilità a collaborare, così come prevede il testo della legge del 2001 che ha riformato l’originaria disciplina risalente al 1991, che fissa un tempo massimo di 6 mesi per dire tutto quello che sa. E in uno di questi verbali che il pubblico ministero chiederà di essere allegato agli atti del processo in corso, Giampà, oltre a ricostruire la sua attività criminale specializzata nel traffico di droga, estorsioni e nel compiere azioni omicidiarie attraverso il suo gruppo di fuoco di cui ha indicato i cognomi e i coprenti della cupola, ha riferito anche dei suoi affari personali e delle attività imprenditoriali che facevano capo a lui. Attività, ha spiegato Giampà, «che si concretizzano nelle GT distribuzione, che si occupa di vendita alimentare e che risulta formalmente intestata a mia moglie». Ditta all’interno della quale lavorava come dipendente Francesco Vasile, ritenuto “il braccio armato della cosca Giampà”, fermato e poi tratto in arresto l’11 ottobre dello scorso anno, poi diventato collaboratore di giustizia. Giampà negli ultimi verbali ha anche confidato di avere «due conti correnti bancari, aperti in due banche lametine e di un conto corrente postale». Depositi sui quali probabilmente “u presidente” versava i suoi guadagni provenienti dall’attività intestata alla moglie, anche lei diventata collaboratore di giustizia, e quelli provenienti dai traffici illeciti. In un altro verbale il figlio del “professore”, rispondendo alle domande degli inquirenti che gli chiedevano di quantificare i soldi che “investiva” nel commissionare gli omicidi, ha riferito che «il costo medio di un’azione omicidiaria, considerando tutte le spese, era di 20mila euro», precisando che «il calcolo deve tenere conto del fatto che nel caso specifico della cosca Giampà, essendo i killer e i membri del gruppo di fuoco interni alla cosca stessa e sempre presenti sul territorio, in realtà le spese non si esaurivano nella singola azione omicidiaria, ma continuavano nel tempo a seconda delle diverse esigenze dei vari componenti dei vari gruppi di fuoco; cioè nel senso che molto spesso capitava che questi ultimi magari non venivano pagati per la singola azione omicidiaria, ma poi in conseguenza della partecipazione alla stessa, allorquando avevamo esigenze economiche si rivolgevano comunque alla cassa comune della cosca e quindi in definita a me».

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