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Maxi-processo,
sentenza e subito
le motivazioni

Lettura in aula del dispositivo di sentenza ma con contestuale deposito delle motivazioni. Se il maxi-processo Genesi è stato caratterizzato da circa 14 anni di rinvii, lo stesso non può dirsi per la conclusione. Solo pochi giorni, infatti, sono bastati al collegio giudicante (presidente Antonio De Marco, giudici Alessandro Piscitelli e Manuela Gallo) per emettere sentenza e mettere nero su bianco le motivazioni. Nel pomeriggio di ieri, dunque, la conclusione del maxi-processo a esponenti delle cosche della ‘ndrangheta vibonese e della Piana di Gioia Tauro, accusati di associazione mafiosa e narcotraffico. Undici le condanne e 31 le assoluzioni, undici delle quali riguardano proscioglimenti per ne bis in idem. Nei confronti di 15 imputati, comunque, era stata la stessa accusa a chiedere l’assoluzione; mentre alcuni dei condannati, inoltre, sono stati assolti o prosciolti per altri capi di imputazione. In particolare, il Tribunale ha condannato a 6 anni di reclusione ciascuno – per associazione mafiosa – Diego, Francesco, Pantaleone (settembre ‘61) e Giovanni Mancuso, nonché Giuseppe Santaguida. E ancora la pena più alta è stata per Nazzareno Prostamo (capi 2, 7 e 8 avvinti dalla continuazione) condannato a 14 anni, più 4mila euro di multa. Nove anni di reclusione e 3mila 500 euro di multa ciascuno il Tribunale ha disposto nei confronti di Nicola Zungri (capi 2, 12 e 13 avvinti dalla continuazione); Michele Tavella (capi 2, 8 e 12) e Antonio Rocco Angiolini (capo 25). Pasquale Pititto, invece, è stato condannato a 7 anni (capi 8, 12 e 13) più 3mila e 500 euro di multa, mentre di 7 anni più 3mila euro è stata la pena nei confronti di Mauro Campisi (capo 10 derubricato in tentata e capo 11). Inoltre, gli stessi imputati sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di quelle cautelari, se dovute. Cinque in più, rispetto alla richiesta dei pm Giuseppe Borrelli e Simona Rossi, le assoluzioni disposte dal Tribunale. In questo caso anche altri imputati condannati sono stati assolti per alcune imputazioni. Con la formula «perché il fatto non sussiste» sono stati assolti: Antonio Rocco Angiolini (capi 20 e 28); Antonio Colacchio di Filandari; Antonio De Vito; Domenico Antonio Oppedisano, Giuseppe Oppedisano, Roberto Piccolo; Antonio Prenestì; Raffaele Reggio; Giuseppe Santaguida (capo 20 narcotraffico); Francesco, Gaetano e Leone Soriano. Altri imputati sono stati invece assolti «per non aver commesso il fatto» e perché «il fatto non sussiste » in relazione ad alcune imputazioni. In questo caso si tratta di Roberto e Salvatore Cuturello; Ottavio Galati; Pantaleone Mancuso (agosto ‘61); Salvatore Mancuso; Michele Silvano Mazzeo; Pasquale Pititto (capi 9, 15 e 20); Nazzareno Prostamo (capi 9, 15, 5 e 20). Per «non aver commesso il fatto » sono stati assolti: Mauro Campisi (capo 19); Andrea Currà; Francesco Elia; Gaetano Galati; Pantaleone Mancuso (classe ‘47); Francesco Mesiano; Alessandro Morfei; Salvatore Pititto; Michele Tavella (capi 9 e 15) e Nicola Zungri (capo 15). Richieste di assoluzione, per quanto riguarda gli imputati vibonesi interessavano: Pantaleone Mancuso (cl. ’47), detto “Vetrinetta”, di Limbadi, Roberto Piccolo, di Nicotera, Vincenzo Barbusca e Fortunato Nardi, entrambi di Monsoreto di Dinami, Gaetano Galati, Francesco Mesiano, Francesco Elia, Andrea Currà, tutti di Mileto, Gaetano Soriano, Domenico Soriano, Francesco Soriano, Antonio Colacchio, tutti di Filandari. Il Tribunale, inoltre, ha dichiarato il non doversi procedere per ne bis in idem, nei confronti di Luigi e Giuseppe Mancuso, rispettivamente zio e nipote, ritenuti i capi storici del clan di Limbadi, a carico dei quali i pm avevano avanzato le richieste di condanna più alte (27 anni). Con la stessa formula prosciolti anche: Pasquale Pititto (capo 2); Michele Iannello; Antonio Albanese; Antonio Rocco Angiolini (capi 4 e 26); Vincenzo Barbusca; Mauro Campisi (capo 4); Antonio Fazzari; Alessandro Morfei; Fortunato Nardi; Francesco Nesci; Domenico Antonio Oppedisano e Giuseppe Oppedisano. E ancora il Tribunale ha dichiarato il non doversi procedere per incompetenza funzionale nei confronti di Alessandro Morfei (capo 10) e Michele Tavella (capo 13). Ammontavano a complessivi 379 anni di carcere le richieste di pena formulate dalla pubblica accusa nei confronti di 28 imputati. Risalgono a circa 22 anni fa i fatti che venivano contestati, mentre l’iter processuale era nato circa diciassette anni fa, anche se il procedimento dopo la riformulazione dei capi d’imputazione ad opera della Dda è andato avanti, appunto per circa quattordici anni. Un processo, comunque, complesso (e non soltanto per i rinvii e gli anni trascorsi) per i tanti nodi da sciogliere, non solo legati alla credibilità o meno dei collaboratori di giustizia, ma al fatto che è stato necessario sovrapporre le contestazioni a carico dei 42 imputati, alla sbarra nell’ambito del maxi-processo, con la sentenza Tirreno emessa in passato dalla Corte d’Assise di Palmi. Infatti, nel corso del dibattimento e delle discussioni non sono stati pochi gli avvocati che hanno fatto osservare al collegio giudicante che molti dei reati sono identici a quelli esaminati in precedenza e per i quali alcuni imputati sarebbero stati già condannati. Ma a margine del processo cominciano a delinerasi i costi che lo Stato dovrà sostenere in quanto la normativa vigente (Legge Pinto modifica dal decreto sviluppo 2012) prevede che il primo grado di giudizio dovrebbe concludersi entro tre anni. E per il processo Genesi si è ben oltre, considerato che l’udienza preliminare risale al 22 luglio 1999, mentre la prima udienza dibattimentale davanti al Tribunale porta al data del 7 dicembre 1999.

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