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La denuncia dei colleghi e la fuga di notizie

  È tornata alla ribalta della cronaca la denuncia che un carabiniere della Compagnia lametina presentò due anni fa contro alcuni suoi colleghi, denunciato il modo in cui avevano condotto le indagini riguardanti l’operazione “Medusa”. A farla emergere è stato l’avvocato Francesco Pagliuso nel contro-interrogatorio di un teste della difesa, il maresciallo Salvatore Marrapese, chiamato a deporre ieri mattina nell’ambito del processo “Perseo”, in corso di svolgimento con il rito ordinario, davanti alla sezione penale del tribunale lametino in composizione collegiale (Carlo Fontanazza presidente, Francesco Aragona e Tania Monetti a latere) e che vede imputati 21 delle 65 persone tratte in arresto. Ieri, comunque, oltre alla vicenda della denuncia del carabiniere, si è discusso anche della fuga di notizie sulle indagini, ancor prima che venisse emesso il provvedimento cautelale relativo all’operazione Medusa, per la messa in circolazione di una pennetta Usb. Fatti che alcuni avvocati della difesa hanno fatto emergere dopo che il sotto ufficiale dell’Arma, rispondendo alle domande del pubblico ministero Elio Romano, ha ricostruito sulla base della sua attività investigativa, le indagini che partono dall’informativa “Cerbero”, depositata nel luglio 2011, attività che avrebbe portato alla luce le attività della cosca Giampà, che poi confluì nella più nota operazione “Medusa”, svelando gli atti estorsivi, lo spaccio di sostanze stupefacenti e vari omicidi che per gli investigatori sono da collocare nella guerra tra le due grandi cosche lametine: Giampà e Cerra-Torcasio- Gualtieri.

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