Due zampette di uccello tagliate e avvolte in un drappo di raso di colore nero sono state fatte recapitare l’altro ieri alla moglie di Antonino Lopreiato, (alias Nino ‘u Murizzu) assassinato a Stefanaconi la sera dell’8 aprile 2008. Un messaggio inquietante e dal chiaro stampo intimidatorio trasmesso attraverso simboli di lutto e violenza ad una donna che potrebbe raccontare qualcosa o addirittura presentarsi al processo e costituirsi parte civile contro i presunti esecutori e mandanti di quell’efferato omicidio. A denunciare l’accaduto ai carabinieri è stata la stessa Maria Teresa Greco, parte offesa nel procedimento che sta per essere avviato a carico di tre indagati coinvolti nell’agguato. Un avvertimento piuttosto chiaro, di quelli che non lasciano scampo ad altre interpretazioni e che molto spesso rappresentano un’arma decisiva per indurre le vittime della mafia a chiudersi in silenzio, a non reagire e rimanere prigioniere della paura di una criminalità organizzata sempre pronta a colpire con ogni mezzo. La busta dai contenuti minatori è stata fatta recapitare alla donna a mezzo posta, lo stesso giorno in cui al sindaco di Stefanaconi Salvatore Di Sì, veniva bruciata la sua autovettura parcheggiata davanti casa, in via Paolo Borsellino, nel rione Morsillara. Gli inquirenti sembrano escludere il collegamento dei due episodi anche perché maturati in contesti diversi. In ogni caso quanto sta accadendo in questi giorni a Stefanaconi è la chiara dimostrazione che nel piccolo centro del Vibonese c’è una criminalità organizzata che non molla, che continua a tenere sotto una cappa di paura l’intera comunità, in barba alle pur importanti operazioni sferrate dai carabinieri e dalla Distrettuale antimafia nel recente passato, riuscendo a stroncare una faida sanguinosa tra il clan Patania ed i cosiddetti Piscopisani. La busta contenente i resti di un volatile e il drappo nero recapitati a Maria Teresa Greco sono ora al vaglio degli esperti della sezione scientifica dei carabinieri presso il Comando provinciale di Vibo Valentia alla ricerca di qualche traccia che possa permettere agli investigatori di risalire agli autori del “messaggio”. Un avvertimento che arriva a cinque giorni di distanza dall’udienza preliminare (fissata davanti al gup di Catanzaro per il 6 marzo) a carico dei presunti organizzatori dell’omicidio di Antonino Lopreiato. Per quel delitto nell’ambito dell’operazione denominata Amarcord è finito in carcere Antonio Emilio Bartolotta (già condannato a 25 anni di carcere per l’omicidio di Michele Penna, ma che la Cassazione ha annullato con rinvio davanti ad altra sezione della Corte di Assise d’Appello). Insieme a lui la moglie Annunziata Foti (entrambi difesi dall’avvocato Salvatore Staiano) e Francesco Calafati (avv. Bruno Ganino e avv. Sergio Rotundo). Secondo l’accusa sarebbero loro organizzatori e mandanti dell’omicidio di Antonino Lopreiato.
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