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Chiesta la conferma di 4 ergastoli e 9 condanne

Chiesta la conferma di 4 ergastoli 9 condanne

Un’ora e mezza di intervento per confermare la bontà del quadro accusatorio. Poi, la richiesta rivolta ai giudici togati e popolari, di confermare tutte le tredici condanne per come decise il 22 luglio 2015, dal gup Raschellà. Così ieri il sostituto procuratore generale Modestino ha chiuso la sua requisitoria davanti al collegio della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro presieduta da Marco Petrini (Vincenzo Galati consigliere) che si deve pronunciare sul secondo grado di uno dei procedimenti (quello col rito abbreviato), scaturito dall’operazione “Filottete”, messa a segno dai Carabinieri il 29 ottobre del 2013, con 17 fermi di presunti affiliati della cosca di Petilia Policastro.

I giudici dell’ Assise d’Appello devono pronunciarsi sugli appelli proposti dalle difese dei tredici imputati, rispetto alle pesantissime condanne decise nel primo grado dal giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro il 22 luglio dello scorso anno. In quella occasione è finita con quattro ergastoli, tre condanne a 30 anni ed altre 6 condanne, ad altrettanti imputati, con pene che vanno da 2 anni e 4 mesi (del collaboratore Domenico Pace), a 7 anni e 8 mesi. Solo uno degli imputati – Antonio Valerio di Cutro, difeso dall’avv. Antonietta Denicolò – uscì assolto dal procedimento nel quale era imputato per concorso in omicidio.
Associazione mafiosa, droga, estorsioni ed anche 4 omicidi: sono questi i reati contemplati nel procedimento nato da un’inchiesta della Dda e dai carabinieri che ha raccolto anche le dichiarazioni rese alla giustizia agli inizi degli anni 2000, dalla giovane Lea Garofalo, poi uccisa dal suo ex compagno Carlo Cosco, a Milano nell’autunno del 2009.
In primo grado sono stati condannati all’ergastolo  Vincenzo Comberiati (59 anni), presunto boss di Petilia Policastro; suo figlio Pietro Comberiati (36); Salvatore Comberiati (50 anni, detto “Tummulune”), fratello del capo cosca e Salvatore Comberiati (56, detto “Sabellino”).
 Il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri (57 anni); Giuseppe Grano (51 anni, di Mesoraca) e Giuseppe Scandale (48), sono stati condannati in primo grado a 30 anni di reclusione ciascuno.
Salvatore Caria (38), Giovanni Castagnino (57); Mario Mauro (58 anni) e Giuseppe Pace (39), tutti di Petilia, sono stati condannati a 6 anni di reclusione ciascuno. A Salvatore Vona sono stati inflitti 7 anni e 8 mesi mentre a Domenico Pace (36, collaboratore di giustizia), due anni e 4 mesi.
Tutti sono accusati di associazione mafiosa. Nicolino Grande Aracri e Giuseppe Grano sono imputati per l’omicidio di Rosario Ruggiero (assassinato a Cutro il 24 giugno 1992). Vincenzo e Salvatore Comberiati (cla. 59, detto “Sabbellino”) sono accusati dell’omicidio di Mario Scalise (ucciso a Petilia il 13 settembre 1989). Vincenzo Comberiati con Salvatore del ‘66, Salvatore del ‘59, Pietro Comberiati e Giuseppe Scandale devono rispondere anche dell’omicidio di Romano Scalise (Steccato, 18 luglio 2007). Vincenzo, Pietro e Salvatore Comberiati del ‘66, sono accusati anche dell’omicidio di Francesco Bruno (Mesoraca, 2 dicembre 2007).
Oggi l’udienza proseguirà con l’arringa difensiva dell’avv. Sergio Rotundo che difende Salvatore Comberiati del 1966 (detto “Tummulune”), Giuseppe Pace e Salvatore Caria.
Gli altri imputati sono difesi da un collegio di penalisti  composto tra gli altri dagli avvocati: Salvatore Staiano, Mario e Tiziano Saporito, Piero Pitari, Sergio Rotundo, Gregorio Viscomi, Salvatore Perri, Marilena Facente, Aldo Casalinuovo, Renzo Cavaretta, Giuseppe Carvelli.

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