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Incubo confisca sull’impero Vrenna

Incubo confisca sull’impero Vrenna

È stata aggiornata al 19 ottobre prossimo l’udienza della Corte d’Appello di Catanzaro che in quella data dovrà pronunciarsi sulla confisca o meno dei beni del gruppo imprenditoriale che fa capo ai fratelli Raffaele e Gianni Vrenna, ma anche sulle richieste di misure di prevenzione personale avanzata nei loro confronti dalla Dda di Catanzaro.

Ai giudici del secondo grado si è rivolta a fine gennaio scorso la Direzione distrettuale antimafia in seguito al decreto della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Crotone che due settimane prima aveva rigettato le richieste di misure patrimoniale e personali avanzate dalla stessa Procura Antimafia nei confronti dei due imprenditori crotonesi che sono anche proprietari e azionisti del Crotone Calcio.

Nell’udienza di ieri gli avvocati Francesco Verri e Francesco Gambardella che difendono i fratelli Vrenna e le loro società, hanno chiesto che venga dichiarato inammissibile l’appello della Procura perché il ricorso contro il rigetto della richiesta di confisca non è accompagnato da nessuna motivazione. Da parte sua la Procura generale rappresentata in Appello dal sostituto procuratore Salvatore Curcio, ha depositato altre dichiarazioni rese negli anni scorsi da alcuni collaboratori di giustizia e un supplemento di relazione della Guardia di Finanza. I giudici della Corte d’Appello si sono riservati la decisione sulla richiesta di inammissibilità del ricorso avanzata dalle difese. Che a loro volta si sono riservati di controdedurre rispetto agli atti prodotti ieri dalla Procura generale.

Nel novembre del 2015 la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro aveva chiesto al Tribunale di Crotone la misura della confisca e della sorveglianza speciale per Raffaele e Gianni Vrenna sul presupposto che il gruppo Vrenna fosse contiguo alle cosche mafiose del crotonese. A sostegno della sua richiesta la Procura antimafia aveva portato le dichiarazioni rese negli anni scorsi da alcuni collaboratori di giustizia, dall’ex boss Pino Vrenna a Luigi Bonaventura passando per Vincenzo Marino i quali sostenevano che gli imprenditori avessero pagato la cosca mafiosa crotonese per essere tenuti al riparo da attentati e danneggiamenti. Ma il Tribunale invece, dando ragione alle difese, con decreto depositato il 14 gennaio, aveva stabilito che non c’erano i presupposti per la confisca dei beni e che i fratelli Vrenna sono del tutto estranei alle vicende della criminalità organizzata crotonese.

«Il Collegio ritiene – scrissero i giudici del Tribunale di Crotone in un passo del provvedimento – che la proposta debba essere rigettata sia con riferimento alla misura reale (confisca) sia con riferimento a quella personale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza) difettando, per entrambi i proposti, elementi di pericolosità sociale riconducibili alla categorie soggettive previste dall’art. 4 del Codice antimafia».

Una decisione appellata dalla Dda che nel ricorso firmato dai procuratori aggiunti Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto e dal pm Domenico Guarascio, definì «non condivisibile e ingiustificabile» la decisione del Tribunale il quale secondo i magistrati della Dda avrebbero svilito le dichiarazioni di alcuni collaboratori, finendo per emettere un decreto inerente le misure di prevenzione «che anziché concentrarsi sui dati e sugli elementi indiziari globalmente intesi ai fini della ricostruzione del giudizio di pericolosità sociale, ricerca arbitrariamente motivazioni inerenti l’inattendibilità dei dati offerti nella proposta, sulla base di ricostruzioni non controllate ed arbitrarie».

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