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Misure eccezionali
attorno alla pm Manzini

Misure eccezionali attorno alla pm Manzini

Stamane si torna in Aula. Ma le tensioni e gli strascichi processuali di lunedì scorso difficilmente potranno essere archiviati o cancellati con un colpo di spugna. L’attacco frontale, attraverso minacce ed insulti, del boss Pantaleone Mancuso (alias Luni Scarpuni) alla pm Marisa Manzini nel processo Black money, che vede alla sbarra i vertici della ‘ndrangheta vibonese, e tra loro capi e gregari della cosca Mancuso, è stato un gesto gravissimo di fronte al quale lo Stato ora è chiamato a reagire con i fatti. E in tal senso le Prefetture di Vibo Valentia, Catanzaro e Cosenza sembra abbiano già mosso i primi passi riunendo tempestivamente i rispettivi Comitati per l’ordine e la sicurezza, al fine di assicurare al magistrato tutte le garanzie possibili e immaginabili perchè possa continuare a portare avanti uno dei processi di mafia più difficili che si sia mai celebrato nel Vibonese.

Sul piano strettamente investigativo l’attenzione degli inquirenti è puntata sulle trascrizioni dei verbali dell’udienza del 17 ottobre e su quelle frasi minacciose e cariche di livore pronunciate da Pantaleone Mancuso nei confronti della pm e senza risparmiare il colonnello dei carabinieri Giovanni Sozzo che, in passato, da comandante del Ros di Catanzaro ha condotto le indagini relative all’operazione Purgatorio-Black money.

Le minacce

Il boss in un primo momento si è scagliato contro il pentito Andrea Mantella, che ha già confessato otto omicidi e una serie infinita di ordini di esecuzione portati a termine dai suoi sodali, definendolo «un caprone». Parole pesanti di fronte alle quali la pm si era opposta scatenando di fatto una reazione rabbiosa dell’imputato da mesi al 41 bis e collegato in videoconferenza dal carcere de L’Aquila, dove attualmente è detenuto. «Fai silenzio, fai silenzio, fai silenzio ca parrasti assai... hai capito ca parrasti assai. Fai silenzio ca parrasti assai». Violenza e arroganza allo stato puro che, purtroppo, nessuno ha frenato o messo a tacere e così il boss è andato avanti continuando ad inveire contro Marisa Manzini: «Hai capito ca parrasti assai, fai silenzio, fammi parrari a mia, ca ancora… ti devo parlare di mia moglie ancora, fai silenzio».

Il caso Buccafusca

Una vera e propria furia di fronte alla quale sono apparsi troppo deboli i richiami del Tribunale all’indirizzo del boss che in alcuni momenti si è sentito quasi il padrone assoluto dell’Aula al punto di tornare ad aprire il capitolo relativo al suicidio della moglie, Tita Buccafusca, morta nell’aprile 2011, dopo avere ingerito dell’acido muriatico. Una vicenda sulla quale la Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio avvenuto dopo che la donna aveva manifestato le sue intenzioni di voler collaborare con la giustizia.

Una storia amara di fronte alla quale Pantaleone Mancuso ha ritenuto di lanciare altre accuse: «Riguardo il discorso di mia moglie se c’è qualcuno che ha colpe, non sono io; io ho fatto di tutto affinché mia moglie vivesse. Questa signora che fa il pubblico ministero è come se si sta divertendo ogni volta di parlare di quella mia disgrazia, si diverte, gode lei. Mia moglie era malata e saranno prodotti i documenti che indicano la sua malattia, glieli ho fatti avere immediatamente quando è successo il fatto con i carabinieri, ai Carabinieri. Purtroppo – ha gridato ancora Mancuso dal carcere de L’Aquila – non hanno ascoltato e, se c’è qualcuno che ha colpe può essere Marisa Manzini, può essere Sozzo, può essere qualcuno dei carabinieri, ma non io, io ho fatto di tutto affinché lei vivesse e mia moglie non aveva alcun motivo di collaborare con Marisa Manzini o con chi sia, va bene?»

E poi ancora: «Marisa Manzini si diverte, Marisa Manzini, Sozzo, si sono divertiti a parlare di sta storia, è ora che la smettano. .. Il pubblico ministero si metta l’anima in pace che mia moglie era malata, punto e basta e non ha rilasciato nessuna dichiarazione né a Manzini e né a Sozzo…».

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