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Black money, ora il processo rischia di arenarsi

Black money, ora il processo rischia di arenarsi

Vibo Valentia

È una strada tutta in salita quella intrapresa dal processo Black money, che vede alla sbarra ventidue imputati e, tra loro, capi e gregari del clan Mancuso di Limbadi. Un percorso costellato di questioni giudiziarie e strategie difensive, che rischiano di affossare uno dei processi di mafia più complessi che siano stati celebrati a Vibo Valentia, o quantomeno, di dilatarne notevolmente i tempi.

Stemperate le tensioni dopo gli insulti e le minacce alla pm Marisa Manzini dal boss Pantaleone Mancuso (alias Scarpuni), ieri nell’aula bunker del nuovo palazzo di Giustizia, dove da oltre due anni si susseguono le udienze a carico di una delle cosche più potenti della ’ndrangheta, è stata avanzata da parte della difesa del boss Pantaleone Mancuso, rappresentata dall’avvocato Francesco Sabatino e dall’avv. Francesco Calabrese, una richiesta di astensione del presidente del collegio giudicante Vincenza Papagno e del giudice a latere, Giovanna Taricco.

La richiesta è stata formalizzata dall’avv. Sabatino, il quale ha evidenziato che in precedenza i due giudici nel processo “Gringia” – che ha visto coinvolto il clan Patania di Stefanaconi ed esponenti vicini ai Mancuso – avevano anticipato valutazioni e giudizi pure sul boss Pantaleone Mancuso che era legato a Nunzio Manuel Callà, ed insieme a questo coinvolto nell’operazione Gringia. In sostanza, dalla deposizione delle motivazioni della sentenza di condanna a sedici anni di carcere nei confronti di Callà, perché ritenuto responsabile di concorso in tentato omicidio insieme ad altri, i giudici tracciano per filo e per segno pure il ruolo svolto da Mancuso.

Da quanto evidenziato in sentenza, sarebbe stato lo stesso “Scarpuni” a fornire la carabina di precisione, incaricando Callà di consegnarla ai killer assoldati dal clan Patania per provare ad eliminare Scrugli nell’ambito della faida con i cosiddetti Piscopoisani.

La richiesta dell’avvocato Sabatino è stata pertanto, accolta nonostante la ferma opposizione della pm Manzini. I due giudici, al termine di una camera di consiglio andata avanti per oltre un’ora, hanno emesso ordinanza attraverso la quale dichiarano la loro «astensione dal processo», disponendo la trasmissione degli atti, del fascicolo per il dibattimento, nonché della sentenza relativa alla condanna di Nunzio Manuel Callà al presidente del Tribunale di Vibo Valentia per «le valutazioni di sua competenza». I giudici Papagno e Taricco nella stessa ordinanza riconoscono che nella sentenza «è stata valutata, seppur incidentalmente, la posizione di Pantaleone Mancuso in relazione al contributo dallo stesso fornito, tramite il Callà, al gruppo dei Patania nella realizzazione del piano omicidiario, al fine di assicurarsi il controllo criminale sul territorio vibonese».

Nello stesso procedimento, annotano ancora «a Pantaleone Mancuso è contestato di avere preso parte all’associazione di riferimento» quale «promotore ed organizzatore del gruppo, con compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni omicidiarie da compiere nell’interesse dell’intera organizzazione criminale».

Alla luce di quanto disposto dal presidente del collegio e dal giudice a latere, il processo Black money è stato subito sospeso e aggiornato al 2 novembre. In quella data il collegio potrebbe presentarsi in una diversa composizione per poter andare avanti ma in questo caso bisognerà procedere al rinnovo di tutta l’attività istruttoria dibattimentale fino ad oggi svolta. Così come il presidente del Tribunale potrebbe ritenere insussistenti i rilievi della difesa e invitare i giudici Papagno e Taricco ad andare avanti.

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La remissione

Altra questione sollevata nel corso del processo ha riguardato l’anticipazione di una istanza alla Corte di Cassazione per la remissione del procedimento avanzata dall’avvocato Giuseppe Di Renzo, difensore di Giovanni Mancuso, alla quale si sono associati quasi tutti i penalisti ad eccezione dell’avvocato Francesco Stilo. Quest’ultimo ha seguito l’udienza di ieri dal carcere di Opera (Milano) in videoconferenza accanto al boss Antonio Mancuso, suo assistito. L’avv. Di Renzo nel suo intervento, seguito a quello dell’avvocato Sabatino, ha fatto presente che lo spostamento del processo in altra sede si rende necessario per via della pressione mediatica che s’è venuta a determinare sul procedimento in particolare dopo l’udienza del 10 ottobre scorso nel corso della quale alcuni avvocati furono insultati dal pentito Mantella e la pm Marisa Manzini minacciata dal boss Pantaleone Mancuso. «Da quel momento – ha evidenziato Di Renzo – il Tribunale è stato fatto segno di una serie di considerazioni» senza dimenticare che è stata data notizia di una ispezione da parte del ministro della Giustizia.

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