Vibo Valentia
Non c’è solo la prescrizione dei reati nel procedimento a carico dei dodici imputati coinvolti nell’operazione denominata “Poison” che vede al centro dell’inchiesta la discarica che i magistrati della Procura di Vibo Valentia hanno indicato tra le «più pericolose d’Europa» per avere provocato un vero e proprio disastro ambientale.
Attorno all’intera vicenda, che riaccende i riflettori sulla lentezza della giustizia, tornano a galla le inquietanti ipotesi riguardanti le pesanti ingerenze della ’ndrangheta sulla “Fornace Tranquilla srl” di San Calogero. Un sito da anni sotto sequestro ad opera della Guardia di Finanza e sul quale sarebbe stata realizzata una vera e propria discarica di veleni all’interno della quale sarebbero finiti fanghi ritenuti fortemente inquinanti e pericolosi perchè di derivazione industriale. Si stima, infatti, che dentro la vecchia fornace di laterizi siano stati “sepolti” all’incirca 130mila tonnellate di rifiuti provenienti soprattutto dalle centrali termoelettriche a carbone Enel di Brindisi, Priolo Gargallo (Siracusa) e Termine Imerese (Palermo).
Una vicenda dietro la quale ancora oggi aleggia la morte di Antonio Romeo, di Taurianova, fino a quel momento alla guida della fornace di laterizi. L’uomo è stato rinvenuto cadavere in circostanze «a dir poco misteriose» all’interno della propria autovettura. Secondo ipotesi investigative il mezzo sarebbe stato fatto precipitare volutamente dal costone della provinciale per Nicotera nella zona di Coccorino (frazione di Joppolo).
Un omicidio a tutti gli effetti sul quale le indagini non hanno portato a nulla. Quell’auto, infatti, è andata ad incunearsi in un spazio (tra due guardrail) di circa un metro e mezzo finendo in fondo alla scogliera. Al momento del rinvenimento del cadavere l’uomo risultava svestito e con la maglia che gli copriva il capo, una tecnica, secondo quanto ipotizzato dalle Fiamme Gialle, usata dalle ’ndrine per indicare che aveva «visto troppo e non doveva vedere». Da allora la direzione dell’azienda (Fornace Tranquilla srl) che da circa un anno aveva cominciato ad “ospitare” qui rifiuti ritenuti pericolosi, passò nella mani di Giuseppe Romeo e del figlio Stefano che, sempre sulla base di quanto emerso nel corso delle indagini, «non avevano alcuna intenzione di vedere ciò che Antonio Romeo aveva visto e tassativamente rifiutato ovvero il riciclaggio di veleni nell’azienda di famiglia».
Con la morte di Romeo, insomma, c’era il sospetto che potesse essere uscito di scena un personaggio che era da ostacolo al traffico dei rifiuti ed entravano in campo personaggi del posto che gli inquirenti collocavano vicino alla cosca Mancuso di Limbadi. Una tesi, questa, che va ad avvalorare il concetto in base al quale per anni da queste parti la ’ndrangheta possa avere fatto affari con le grandi aziende mettendo a disposizione discariche dove poter interrare tonnellate e tonnellate di veleni. Ora con l’avvenuta prescrizione dei reati (complice la giustizia lumaca) si pone una pietra tombale sull’intera vicenda con la benedizione pure della ’ndrangheta.
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