I sospetti dei carabinieri erano più che fondati. Gli indizi raccolti dagli uomini del capitano Piermarco Borettanz, comandante della compagnia, portavano in unica direzione: forti dissapori all’interno della famiglia. La svolta nelle indagini però è arrivata nella serata di lunedì quando in caserma si è presentato, accompagnato dal suo legale di fiducia, il figlio di Massimo Ripepi, 41 anni, operaio, che domenica pomeriggio è stato vittima di un agguato a colpi di pistola dal quale per fortuna è uscito illeso. Il ragazzo, sedici anni appena, secondo quanto emerso, avrebbe confessato di essere stato lui a premere il grilletto di una pistola calibro 6,35 esplodendo quattro colpi all’indirizzo del padre che fortunatamente sono andati a vuoto.
Il verbale
«Non volevo ucciderlo...», avrebbe affermato il ragazzo davanti al maresciallo Cosimo Sframeli «volevo solo dargli una lezione... lui ci maltrattava». Una versione che per certi aspetti apre un spaccato inquietante che riguarda il grave disagio che il sedicenne viveva all’interno della famiglia e che ancora una volta è sfociato in un’azione assurda e violenta che solo per miracolo non è finita in tragedia. Le confessioni del ragazzo sono ora al vaglio della Procura presso il Tribunale per i minori di Catanzaro. Attualmente il sedicenne è indagato a piede libero. Nei suoi confronti l’accusa di tentato omicidio, anche se più volte ha ribadito che non aveva alcuna intenzione di uccidere il suo papà ma avrebbe voluto solo dargli una «lezione».
La dinamica
Domenica pomeriggio il ragazzo è arrivato in via Angelo Savelli, nel quartiere Affaccio in sella al suo scooter, con il casco in testa e una pistola calibro 6,35 dentro il giubbotto. Avrebbe prima chiamato il padre sul cellulare che si trovava a casa della nonna invitandolo a scendere. Nel momento in cui Massimo Ripepi è uscito dal portone principale il ragazzo avrebbe estratto l’arma e sparato. Solo grazie alla prontezza dei riflessi il 41enne è sfuggito ai proiettili esplosi da distanza ravvicinata. Massimo Ripepi, infatti, di fronte a quel giovane sconosciuto che sparava contro di lui non ha potuto fare altro che rientrare immediatamente in casa e sbattere il portone in faccia mentre l’attentatore si è immediatamente dileguato sotto lo sguardo di qualche passante e di un gruppetto di ragazzini intenti a giocare nel cortile di una palazzina adiacente.
Le indagini
Il lavoro degli investigatori non è stato semplice; per arrivare a stringere il cerchio attorno al giovane ci sono voluti ventiquattro ore di intenso lavoro nel corso dei quali sono stati raccolti indizi importanti. Forse sentendosi ormai scoperto il ragazzo è stato convinto dal suo legale a presentarsi. E nel pomeriggio di lunedì s’è presentato ai carabinieri spiegando le assurde ragioni di quella reazione violenta. Per i carabinieri ed i magistrati della Procura per i minori ora si tratta di vagliare nei minimi particolari quanto riferito. Non sono comunque pochi i coni d’ombra sui quali i carabinieri stanno cercando di fare piena luce attraverso la ricerca di ulteriori elementi. Primo fra tutti il rinvenimento dell’arma. Il ragazzo non sarebbe stato del tutto chiaro su chi gliela avrebbe fornita e dove l’avrebbe nascosta dopo l’attentato. Avrebbe confessato di averla avuta da uno sconosciuto per poi essersene disfatto. Una versione che tuttavia non ha convinto gli investigatori.
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