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Crotone, migranti accampati come bestie

Crotone, migranti accampati come bestie

Nello “slang” dei migranti che vivono per strada è conosciuta come “white house”. È la “casa bianca” l'ultima novità fra le situazioni al limite del disastro umanitario nelle quali sono accampati centinaia (forse migliaia) di stranieri di passaggio o in sosta a Crotone. La “casa bianca” si aggiunge all’altro grande accampamento di cartoni diventato stabile negli anni sotto il cavalcavia nord d’accesso alla città.

I migranti chiamano con amara ironia “white house” la struttura semi-diroccata del vecchio deposito costiero di carburanti dismesso da anni fra il porto vecchio e la banchina di riva del porto nuovo. I grandi silos metallici non esistono più: circondato da un alto muro di cinta è rimasto un ampio piazzale di un paio di ettari invaso da sterpaglie, con su un lato i resti fatiscenti di quelli che furono gli uffici. Fra quei muri diroccati trovano riparo per la notte sempre più stranieri, in prevalenza provenienti dall'Africa subsahariana, che per i motivi più vari non possono accedere alle strutture di accoglienza: né al Cara-Regional Hub di Sant'Anna, né ai Cas-Centri di accoglienza straordinaria, né agli Sprar.

Molti sono “dublinanti”, cioé stranieri che per rinnovare i propri documenti di soggiorno in Europa sono costretti – in virtù del regolamento di Dublino – a tornare a Crotone, luogo della loro prima identificazione, per espletare le pratiche necessarie a rimettersi in regola. Poiché hanno già avuto l'asilo politico, la protezione sussidiaria, o umanitaria, non possono accedere alle strutture per migranti richiedenti asilo. Altri sono arrivati da poco in Italia con i mezzi individuali più vari: sbarcati chissà dove all’insaputa delle autorità, oppure entrati nascondendosi nei Tir per sfuggire ai controlli, altri ancora allontanatisi dalle strutture d’accoglienza per non essere identificati e dover rimanere nei centri per mesi in attesa dei documenti.

Insomma, c’è di tutto nella “casa bianca” sul porto. Lì davanti, una scritta “welcome” sulla strada è rimasta dall’ultima manifestazione velistica internazionale l'estate scorsa. Il grande cancello dell'ex deposito costiero è regolarmente chiuso. Ma da una porticina laterale, forzata, e da una finestra divelta c’è un traffico continuo di stranieri che entrano ed escono: soprattutto di primo mattino e la sera, quando rientrano per dormire su giacigli stesi fra quintali di rifiuti accumulati, resti di cibo, stracci. I migranti sopravvivono in una condizione disumana, con qualche centesimo ricavato dall’accattonaggio ai parcheggi. Delle volte dalla “casa bianca” si vede levarsi un filo di fumo: segno che lì stanno cucinando qualcosa su un fuoco improvvisato. Nelle notti d’estate salgono sul tetto in cerca di un po’ d'aria. Durante il giorno non ci vedi nessuno.

Il traffico di auto scorre lungo i muri di cinta della “white house”, distante pochi metri dall’edificio della Capitaneria di porto-Guardia costiera, ed ancora di meno dall'elegante Club velico con all’attracco le imbarcazioni da diporto: poi i gozzi da pesca, le paranze, i negozi di pesce. C’è il porto, insomma, con tutta la sua vita. Quanti saranno gli africani che la notte si rifugiano nella “casa bianca”? Cinquanta almeno, forse molti di più. È una condizione non solo disumana quella in cui vivono, ma anche molto delicata in quanto a sicurezza. Chi c’è lì dentro? È possibile che debbano esistere anfratti al riparo dalla conoscenza piena del territorio? L’altro esempio, non meno spaventoso in quanto a igiene e sicurezza, che dovrebbe urtare la coscienza civile delle istituzioni, è la comunità di stranieri che da anni si rinnova e sopravvive sotto il cavalcavia nord della città. Lì vivono all'addiaccio almeno cinquanta, forse cento stranieri che non sanno dove rifugiarsi. Dei dannati del cavalcavia, accampati fra i cartoni, si sono occupati il Movimento diritti civili, la Regione, la Protezione civile, il Comune, che hanno individuato uno stabile confiscato alla mafia impegnandosi a ristrutturarlo per farne una struttura d’accoglienza destinata a quei migranti. Era quattro mesi fa. Non se n'è saputo più nulla.

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