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Madre-coraggio sola e senza scorta non si piega e “divorzia” dallo Stato

Madre-coraggio sola e senza scorta non si piega e “divorzia” dallo Stato

Una donna divorata dall’angoscia che cerca di vedere uno spiraglio di luce in fondo al tunnel, che cerca di uscire fuori dal labirinto degli spettri in cui è stata trasformata la sua vita. Una donna che combatte da sola e senza scorta, che sente dentro di sè «lo spirito di combattimento» ma che le vicende hanno praticamente annientato. Sia dal punto di vista fisico, sia psichico.

Rosaria Scarpulla, palermitana di nascita e calabrese di adozione, ha cercato come i giunchi di piegarsi alla piena e di rialzarsi, ma oggi rischia di essere sopraffatta. Si sente sola e inerme nei confronti di chi (esponenti della famiglia Mancuso) subdolamente continua a introfularsi nella sua vita, di chi teme (i confinanti) e si ritrova davanti nei posti più impensati. «Se ci fossero i carabinieri sempre – commenta – tante situazioni si sarebbero potute evitare...».

Sapeva che la battaglia sarebbe stata dura ma non immaginava «che oltre a essere vittima di chi combatto lo sono anche di chi dovrebbe proteggerci. Questo mi sconvolge». Come non immaginava di dover lottare con le unghie e con i denti anche per far sì che la salma del figlio Matteo Vinci, ucciso con un’autobomba a Limbadi lo scorso 9 aprile, potesse rimanere ancora nell’obitorio dell’ospedale di Vibo in attesa dei funerali. Rito che sarà celebrato quando il padre della vittima, Francesco Vinci, potrà lasciare il Centro grandi ustionati di Palermo dove si trova da due mesi a causa delle ferite riportate nell’esplosione. Un ostacolo oggi superato grazie all’intervento della Prefettura di Vibo «ma – dice la signora Rosaria – ho dovuto gridare, disperarmi, affinché qualcuno mi aiutasse».

La donna, con al fianco l’avvocato Giuseppe De Pace legale della famiglia, ha ricevuto i giornalisti nella sua casa. «Inizialmente ho visto una piccola luce in fondo al tunnel – evidenzia la signora Rosaria con amarezza – ma oggi si è spenta. Vedevo il procuratore Gratteri come un salvatore, pensavo che non appena casi difficili come il mio erano di sua conoscenza potesse fare qualcosa, che avrebbe fatto qualcosa. Oggi lo vedo su un piedistallo e non so più cosa pensare... Non so».

Ma l’incontro, in una casa che parla ancora di vita familiare di Matteo e di Ciccio, è stata soprattutto occasione per una dichiarazione di guerra senza se e senza ma, per un «divorzio da uno Stato-apparato che ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza, che dal punto di vista investigativo, processuale ed etico-morale ha abbandonato una testimone di giustizia e suo marito». A mettere da parte il calumet della pace e dissotterrare l’ascia di guerra l’avv. De Pace il quale, in prima battuta, ha denunciato quanto sarebbe avvenuto all’obitorio di Vibo. «Il responsabile ha usato, con l’addetto alle pompe funebri – rimarca il penalista – parole indignitose e irripetibili nei confronti della salma di Matteo, di “un cadavere da sbattere fuori”».

Ma se «divorzio» c’è stato con lo Stato, più sofferta è stata la separazione da Libera. Davanti ai giornalisti De Pace – che era stato socio fondatore del coordinamento di Vibo e di suo pugno aveva scritto il discorso costitutivo – ha strappato le tessere: «Avevamo fatto appello alla sensibilità delle associazioni cosiddette antimafia, affinché attorno a Rosaria Scarpulla si stringesse un cordone civile, ma non abbiamo ottenuto alcun risultato, la mobilitazione civile non si è vista. Di fatto lei è sempre sola. E allora di queste tessere non so che farmene».

Come un fiume in piena – l’aggravamento delle condizioni della signora Scarpulla l’ha mandato in bestia – l’avv. De Pace punta il dito contro le forze politiche, contro «il nuovo che avanza capaci, come il vecchio, a fare soltanto parate nel senso di sfilate come quelle degli asini degli zingari» e poi scomparse nel silenzio assoluto; contro il ministro dell’Interno «che va per i mari a combattere tribù di piedi scalzi e non viene qui a mostrare i suoi muscoli contro la potenza ’ndranghetista che governa questo territorio», contro il presidente della Camera che è arrivato a uno sputo da Limbadi e «non ha sentito il dovere morale di incontrare la madre di una vittima innocente di ’ndrangheta».

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