Il ribelle di famiglia che rischia di inguaiare la cosca, quella che gli inquirenti classificano tra le più granitiche e pericolose della ’ndrangheta. Molti non ci credono, troppo forte la caratura criminale del personaggio per consegnarsi armi e bagagli e senza una ragione apparentemente valida nelle mani della giustizia. Gli inquirenti da quanto si apprende procedono per step, come a voler testare fino in fondo le reali intenzioni del rampollo dei Mancuso di Limbadi. Ma le indiscrezioni danno per certo che Emanuele Mancuso, 30 anni, figlio del boss Pantaleone Mancuso (detto l’Ingegnere) catturato tre anni fa al confine tra il Brasile e l’Argentina, abbia già avviato una proficua collaborazione con i magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro. Se così fosse i primi frutti gli inquirenti li dovrebbero cominciare a cogliere subito dopo l’estate quando i verbali del pentito potrebbero confluire nei processi a carico di esponenti della ’ndrangheta di primissimo piano a cominciare dagli stessi parenti di Emanuele Mancuso. In agenda ci sono pure procedimenti di mafia pendenti dinnanzi alla Corte d’Appello come quello denominato Black money, il cui verdetto di primo grado emesso dai giudici del Tribunale di Vibo Valentia ha cancellato in toto l’associazione mafiosa a carico di esponenti di primissimo piano della cosca Mancuso. Mai come ora i verbali e le confessioni di uno degli emergenti della famiglia potrebbero veramente contribuire a svelare i misteri criminali e le pesanti collusioni di cui per decenni la potente consorteria ha potuto godere e che la giustizia nel corso degli anni non è riuscita ad accertare fino in fondo.
La presunta collaborazione di Emanuele Mancuso con la Dda di Catanzaro arriva in un momento di forte attrito all’interno della grande famiglia di ’ndrangheta per via dei gravi episodi che si sono succeduti negli ultimi anni tra Nicotera e Limbadi. Rapine e attentati finalizzati ad imporre le regole dei potenti di turno sono stati all’ordine del giorno contribuendo in questo modo a disturbare le grandi manovre di un’organizzazione che punterebbe a gestire i grandi affari con la forza della “mediazioni” e della “convinzione” e non con gli attacchi frontali e spregiudicati che rischiano di calamitare non solo l’attenzione dei media ma pure quella delle forze dell’ordine. E in tal senso l’autobomba utilizzata per punire la famiglia Vinci che non voleva mollare un appezzamento di terreno ai Mancuso-Di Grillo, non sarebbe stata digerita da una frangia della cosca.
E mentre gli inquirenti lavorano assiduamente convinti che potrebbero avere imboccato la strada giusta per arrivare a decapitare la potente consorteria mafiosa facendo pesare in tutto e per tutto le dichiarazioni di Emanuele Mancuso, ci si comincia ad interrogare sul perché il giovane rampollo abbia deciso di fare il grande salto. Per inguaiare una parte della famiglia che non digeriva le sue strategie o per chiudere definitivamente i conti con il passato e trascorrere il resto della sua vita dall’altra parte solo con la sua compagna e la sua figlioletta?
Emanuele Mancuso è stato arrestato il 30 marzo scorso nel corso dell’operazione denominata Nemea. I carabinieri, sotto il coordinamento della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, hanno arrestato esponenti della cosca Soriano di Filandari, in passato nemici dei signori di Limbadi; nella rete pure Emanuele Mancuso che da qualche anno ormai aveva ottimi rapporti con gli emergenti dei Soriano.
Mancuso è accusato di di avere collocato un ordigno esplosivo davanti all’abitazione dell’imprenditore Antonino Castagna, che gli inquirenti indicano tra gli amici del boss Antonio Mancuso. A carico dell’indagato pure la contestazione di essere stato tra gli autori di un colpo messo a segno ai danni di una gioielleria di Nicotera. Furto che fece tanto scalpore per avere frutta un consistente bottino.
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