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Catanzaro, un sogno partito dal basso

Il riscatto di un blocco amalgamato in C. E guidato da un “mago” chiamato Vivarini

Dal buio della Serie C al grande sogno della A. Il Catanzaro? Programmazione, bel gioco, coraggio e personalità, ma anche una storia di riscatto collettivo: da Vivarini a Fulignati, da Iemmello a Vandeputte, da Biasci al presidente Noto potrebbero entrare tutti in una serie tv. Non importa il finale, ma il fatto che sia ancora tutto da scrivere, e che a sette giornate dalla fine del campionato le Aquile siano ancora in corsa per la promozione diretta… La trama intriga e fa rimanere incollati allo schermo. Il successo storico di Parma è il frutto di un percorso nato due anni e mezzo fa, quando più o meno ogni protagonista stava mangiando il pane duro della terza serie (o frequentavano i settori giovanili). Al “Tardini” dieci titolari su undici venivano dal piano inferiore con l’eccezione di Veroli, al primo anno vero fra i Pro.
Dammi tempo. È venuto – ma sarebbe meglio dire è ritornato – dal basso anche Vivarini, che ha dato scacco al più quotato e vincente collega della capolista: Pecchia ha già trionfato in B con Hellas Verona e Cremonese, si ripeterà col Parma, ma lunedì ha incassato due sberle sonore dall’abruzzese in giallorosso. Non è stata la prima (e non sarà l’ultima) che Vivarini incarta gli avversari nonostante anche lui fosse arrivato a Catanzaro perché non aveva di meglio: in B era già passato da esperienze sfortunate o non troppo fortunate (Latina, Entella, Ascoli) e da un allontanamento prematuro (Empoli), a Bari si era illuso (finale playoff di C persa) ed è stato lasciato andare troppo presto.
Insomma, gli servivano tempo, pazienza e una società disposta a pianificare tutto: ci aveva pensato l’Avellino, per fortuna del Catanzaro il dietrofront degli irpini lo lasciò libero quando al “Ceravolo” si ragionava su un nuovo timoniere disposto a correggere la rotta di una squadra depressa. Il resto è già storia: una semifinale playoff persa per un episodio controverso, il successivo campionato dei record (punti, gol, vittorie, promozione matematica in inverno) e questo straordinario percorso in B con un gruppo che si permette il lusso di palleggiare in faccia in casa del Parma, imbattuto da 13 mesi al “Tardini”. Questo prima di lunedì.
Cosa facevano lì? Il gioco è la chiave di volta con cui Vivarini ha reso letale una squadra assemblata pezzo dopo pezzo con gente che in B aveva già dato o che si pensava non potesse proprio valere questa categoria. Brighenti sembrava sorpassato, Scognamillo si era giocato la sua chance con il Trapani, Verna anni prima a Carpi, Ghion non aveva inciso a Perugia, da dove Sounas e Fulignati erano stati praticamente mandati via, Biasci a Padova era usato poco e fuori ruolo, Vandeputte a Vicenza non vedevano l’ora che facesse le valigie, Iemmello stava fuori rosa a Frosinone dopo un trascorso dimenticabile nella B spagnola e due retrocessioni di fila. E invece ognuno di loro ha dimostrato di poterci stare a pieno titolo, singolarmente e soprattutto insieme. Aggiungiamoci Antonini che fino a gennaio reggeva la difesa del Taranto (non una big) e Petriccione che languiva a Crotone, uniamo qualche giovane di prospettiva alla prima prova, o quasi, fra i grandi (tipo Ambrosino, D’Andrea, Veroli)… Evidentemente in parecchi hanno sbagliato giudizi e valutazioni. Senza dimenticare, naturalmente, la gestione Noto. Fra i presidenti delle big pareva quello che andava più piano, molto lontano dalla caciara – rivelatasi illusoria – di qualche (ex) collega. Stava solamente mettendo le basi più solide possibili, un passo alla volta, con pazienza e lungimiranza, perché un profilo più basso non significa sia meno ambizioso. E il tempo ha dato ragione pure a lui.

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