Il business delle estorsioni, le attività economiche, le infiltrazioni nella società “sana”. Dava ordini chiari ai suoi uomini il boss Nicolino Grande Aracri, a Crotone così come al Nord Italia, nelle “colonie” conquistate dalla ’ndrina partita da Cutro. "Io gli ho detto “quanto vuoi guadagnare?”, “come devo fare?”, “dacci un po’ di lavoro, tieni conto che dobbiamo guadagnare pure noi”; lui mi ha detto “sì, sì, a disposizione”, gli ho detto “allora da oggi in poi mettiti a disposizione”. La Direzione distrettuale antimafia di Brescia riteneva questa conversazione, intercettata nell’ambito delle indagini sulle ramificazioni della ’ndrangheta crotonese nel territorio di Mantova e Cremona, "un paradigma del concorso esterno in associazione mafiosa" contestato all’imprenditore Antonio Muto, allora scagionato in appello (e adesso in via definitiva) dall’accusa di aver fiancheggiato il clan di ’ndrangheta in Lombardia.