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"Così i beni pignorati tornavano ai proprietari", a Lamezia sgominata un'organizzazione: 80 indagati

Il tribunale di Lamezia

Facevano il bello e il cattivo tempo nelle vendite giudiziali e non si curavano di chi andavano a minacciare o allontanare per non avere concorrenti, anche se si trattava di militari. Emerge anche questo dato dall'inchiesta “Asta la vista” della Procura di Lamezia Terme che ha svelato i meccanismi di una presunta associazione a delinquere che nell'ultimo decennio avrebbe gestito gran parte delle aste giudiziarie grazie a una rete di infiltrati nel Tribunale lametino.

Sarebbe stato il cosiddetto “sistema” Calidonna, dal cognome del 56enne Raffaele, colui che gli inquirenti coordinati dal procuratore capo Salvatore Curcio hanno indicato come il dominus dell'associazione che avrebbe operato attraverso un'agenzia di affari e servizi intestata alla figlia Sara e una rete di ufficiali giudiziari infedeli, commercialisti, avvocati e imprenditori.

Oltre all'associazione a delinquere - Calidonna è finito in carcere, undici persone ai domiciliari, nove con misure interdittive e oltre 80 indagati come riporta la Gazzetta del sud in edicola- gli inquirenti contestano la turbata libertà degli incanti, rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio, abuso d'ufficio, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, induzione indebita a dare o promettere utilità, autoriciclaggio ed estorsione.

Abitazioni private, capannoni industriali, tutto sarebbe stato appetibile per il gruppo quando c'era da guadagnare e per fare in modo che ad acquistare gli immobili all'asta fossero il più delle volte gli stessi proprietari ai quali era stato pignorato; una procedura vietata dalla legge che veniva però aggirata attraverso prestanome.

 

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