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I 35 arresti a Cutro, l'ombra di una talpa dietro alle indagini: "Soffiate ai boss prima dei blitz"

Un fermo immagine tratto da un video della guardia di finanza

Una «oscura rete di fonti e connivenze» permetteva ai componenti della consorteria criminale sgominata stamane dall’operazione «Malapianta» di conoscere in anticipo le mosse della magistratura antimafia e delle forze dell’ordine.

Lo rilevano gli inquirenti che nelle 560 pagine che compongono l’ordinanza eseguita stamane dalla guardia di Finanza su mandato della Dda di Catanzaro fanno riferimento a episodi specifici da cui emerge che capi e gregari conoscevano in anticipo le mosse degli inquirenti. In proposito, si evidenzia «la costante ricerca, da parte degli indagati, di fonti informative in grado di riferire su vicende giudiziarie di loro interesse».

La diffusione tra i consociati di informazioni «sensibili», permetteva l’adozione di adeguate contromisure. «La ricezione di tali informazioni - si annota nell’ordinanza - determinava immediate reazioni, finalizzate ad attuare precauzioni per eludere misure restrittive, eventualmente, emesse nei loro confronti».

Una «soffiata» si sarebbe verificata, in particolare, la notte del 9 gennaio 2018, quando scattè il blitz ordinanto dalla Dda di Catanzaro con diversi arresti nell’ambito dell’operazione «Stige» contro la cosca Farao-Marincola di Cirò Marina .

Al riguardo, gli inquirenti fanno rilevare come alcuni dei destinatari avessero precise notizie sul blitz «incamerate dalla fazione criminale il giorno antecedente gli arresti a riprova della capacità di acquisizione informativa». Ricevute le informazioni al riguardo, la notizia fu veicolata rapidamente tra i sodali.

«Si attivava - scrivono i magistrati inquirenti - un efficace sistema di «monitoraggio» che prevedeva il controllo dell’area di pertinenza nelle ore notturne del giorno 9 gennaio 2018». Alcuni dei destinatari delle misure lasciarono precipitosamente, nel corso della notte, le loro abitazioni.

Ricevute le informazioni riservate, gli interessati «adottavano opportune cautele volte a monitorare la zona di residenza ed abituale frequentazione, approntando - si sottolinea - un piano per eludere, qualora necessario, il dispositivo repressivo predisposto per l’esecuzione dell’operazione di polizia. Gli indagati, in sostanza, decidevano di controllare l’area di interesse ed abbandonare, prudenzialmente, le proprie abitazioni, occultando del denaro riposto in un borsone il cui rinvenimento, in sede di perquisizione, avrebbe determinato problematiche di vario genere».

Dalle intercettazioni emergono riferimenti generici ad un carabiniere e ad un magistrato come fonti delle notizie, senza indicazioni precise sulla loro identità.

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