Il “mostro” era ed è rimasto lì, a un tiro di schioppo dalla zona che una decina di anni dopo diventava Sito di interesse comunitario. Una sorta di “terra dei fuochi” in salsa vibonese non soltanto attigua a uno dei siti naturalistici di straordinaria unicità, ma anche a due passi dal mare e praticamente alla foce del fiume Angitola.
Una storia vecchia, così come vecchia è l'enorme discarica ormai ricoperta dalla sabbia e dalla vegetazione - perché quella che oggi si vede a occhio nudo è soltanto un'estensione del sito - nata negli anni Ottanta quando scaricare montagne di spazzatura e di chissà cos'altro era considerato “legale”. Anche farlo in riva al mare, anche a ridosso di terreni coltivati, anche incendiando tonnellate di immondizia - ciò puntualmente avveniva - ammorbando l'aria e sprigionando diossina alla buona salute di tutti.
Nel 1997 la discarica dell'Angitola venne finalmente chiusa, dopo un lungo pressing esercitato anche e soprattutto dal Wwf che segnalava il pericolo già da tempo (per esempio nel giugno 1986 e nel gennaio 1988). Una chiusura avvenuta però a distanza di dodici anni dalla pietra miliare, posta nel settore ambientale, dalla Legge Galasso, varata qualche anno (1985) dopo l'entrata in funzione del sito di conferimento dei rifiuti a cielo aperto all'Angitola. Una legge assorbita dalla normativa attualmente vigente che praticamente allora è stata disattesa per oltre un decennio, tant'è che in seguito alla chiusura della discarica consortile Badia Falcone di Vibo, in riva al mare di Pizzo per un certo periodo sono arrivate quantità industriali di immondizia anche dal capoluogo.
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