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Il mistero dei cadaveri scomparsi nel Mesima, riprendono le ricerche

Un fiume che scorre tra due province, che unisce lungo il suo corso il territorio vibonese con quello reggino, della piana di Gioia di Tauro. Un fiume - il Mesima - che partendo dalle Serre vibonesi si ingrossa nel suo viaggio verso il mare con l'apporto del suo affluente Marepotamo, attraversando terre di 'ndrangheta e di lupare bianche. Un fiume in cui - secondo la ricostruzione degli inquirenti - sarebbe stato gettato, ancora vivo sebbene agonizzante, chiuso in un sacco Francesco Vangeli, il 26enne di Scaliti di Filandari (scomparso il 9 ottobre del 2018) del quale non è stato ancora ritrovato il corpo. Un fiume in cui potrebbe essere stato “affondato” anche il corpo di Maria Chindamo, 44 anni, imprenditrice agricola di Laureana di Borrello il 6 maggio del 2017 aggredita davanti alla sua tenuta in località Montalto di Limbadi e poi fatta sparire.

E lungo il corso d'acqua - ma questa volta più a valle dove il Mesima si incrocia con il Marepotamo - sono ritornati i sommozzatori dei carabinieri. Le sponde e il letto del torrente sono stati scandagliati per due giorni, così come era avvenuto nei mesi scorsi. I militari cercano e sulle perlustrazioni viene mantenuto il più stretto riserbo, ma è evidente che si stia cercando un corpo. Potrebbe essere quello dei due scomparsi nel Vibonese, potrebbe essere quello di altri uomini spariti nel Reggino.

Comunque sia è lungo l'asse Limbadi-Rosarno che le operazioni sembrano essere questa volte concentrate, perché il luogo in cui i sommozzatori sono intervenuti riporta alla zona dove Maria Chindamo è letteralmente svanita nel nulla. Una vasta area territoriale collegata da strade poco trafficate da cui si accede sia dalla Statale 18 (nel Vibonese), sia dalla provinciale 61 che porta verso il territorio della provincia di Reggio. E proprio su una parte di questa estesa area nei mesi immediatamente successivi alla scomparsa dell'imprenditrice furono eseguiti diversi scavi alla ricerca del corpo.

La zona che è stata scandagliata lascerebbe supporre questo, ma non è da escludere che i sommozzatori dell'Arma abbiano allargato il raggio d'azione nell'ambito delle ricerche del corpo di Francesco Vangeli. Nell'uno e nell'altro caso - sull'omicidio del 26enne indaga la Dda, sul delitto di Maria Chindamo la Procura ordinaria di Vibo - intenzione degli inquirenti è di andare fino in fondo, ma soprattutto di riuscire a ritrovare i resti.

Due delitti che le acque dell'ombroso fiume potrebbero collegare; due omicidi - quelli di Maria Chindamo e di Francesco Vangeli - che hanno sancito entrambi una svolta nelle indagini lo scorso luglio. A distanza di giorni, infatti, scattava prima il fermo di un indagato per l'assassinio del 26enne di Scaliti di Filandari, alla fine delle stesso mese seguito da un altro arresto. Provvedimenti che riguardavano sia Antonio Prostamo, 30 anni (sottoposto al fermo) sia il fratello Giuseppe di 34, entrambi di San Giovanni di Mileto. Omicidio e occultamento di cadavere i reati contestati dalla Dda con l'aggravante del metodo mafioso. Una drammatica vicenda sullo sfondo della quale ruoterebbero altri soggetti che, nella notte tra il 9 e 10 ottobre del 2018, si sarebbero dati da fare per tendere la trappola mortale alla giovane vittima e poi per far sparire il corpo, chiudendo il 26enne forse ancora agonizzante in un sacco e gettandolo nel Mesima in piena.

Sempre a luglio, a distanza di qualche giorno dal fermo di Antonio Prostamo, la svolta nelle indagini sul caso Chindamo. Una svolta a metà considerato che nei confronti dell'indagato - Salvatore Ascone, di 53 anni (detto Turi ‘u pinnularu), ritenuto vicino ai Mancuso di Limbadi - veniva annullata l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Vibo. Secondo l'accusa Ascone - con l'aiuto di altre persone indagate a piede libero - avrebbe manomesso il sistema di videosorveglianza le cui immagini avrebbero consentito di registrare le fasi del violento sequestro della donna. In base alla ricostruzione degli inquirenti Maria Chindamo, madre di tre figli, la mattina del 6 maggio di due anni fa, recandosi nella tenuta di contrada Carini di Montalto (nel territorio di Limbadi) è andata incontro a un destino che altri avevano scritto per lei. Aggredita davanti al cancello dell'azienda, prelevata con la forza e portata chissà dove. Le impronte sull'auto delle sue mani macchiate di sangue, in alcuni punti miste a capelli, sono le uniche tracce rimaste dell'imprenditrice che si è difesa e ha cercato di sfuggire ai suoi sequestratori. Un'azione svolta in pochissimi minuti. Sul posto è rimasta l'auto di Maria, con gli sportelli aperti, i suoi effetti personali e la radio accesa ad alto volume, forse per coprire le sue urla.

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