Lo spettro della corruzione aleggia sui palazzi giudiziari. E mentre l’ombra dei sospetti avvelena sempre più l’aria nel distretto di Catanzaro, Marco Petrini sembra destinato a lasciare il carcere. I suoi legali hanno chiesto al Gip di Salerno la revoca della ordinanza di custodia cautelare e l’applicazione di una misura restrittiva meno afflittiva. Sul punto i pubblici ministeri avrebbero dato parere favorevole.
Il magistrato arrestato per corruzione in atti giudiziari ha offerto piena collaborazione ammettendo davanti al procuratore vicario di Salerno, Luca Masini, le proprie responsabilità e rivelando ulteriori episodi corruttivi.
L’ex presidente della Commissione tributaria di Catanzaro e della Corte di assise di appello, avrebbe fatto riferimento a una fitta rete di corruttela che coinvolgerebbe pure avvocati, consulenti e politici.
L’ex presidente della Commissione tributaria di Catanzaro e della Corte di assise di appello, avrebbe fatto riferimento a una fitta rete di corruttela che coinvolgerebbe pure avvocati, consulenti e politici.
I difensori di Petrini, i legali Francesco Calderaro di Castrovillari e Agostino De Caro di Salerno, non confermano nulla pur lasciando intendere che l’apporto collaborativo offerto dal loro assistito è stato pieno.
Appare tuttavia evidente che l’inchiesta è destinata ad allargarsi: i fronti aperti sono molteplici e non solo legati alle vicende e alle dichiarazioni di Petrini. La procura distrettuale di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, ha trasmesso ai colleghi campani tutti gli atti in cui compaiono i nomi di magistrati sia nella veste di persone offese che di possibili indagati.
Si tratterebbe, per esempio, di conversazioni intercettate tra esponenti della criminalità, tra imprenditori finiti nel mirino delle forze dell’ordine, tra legali sottoposti a controlli a distanza. È così, d’altronde, che si è arrivati a smascherare Petrini: i pm catanzaresi seguivano l’ex consigliere regionale Pino Tursi Prato e ascoltando le sue conversazioni con il medico castrovillarese Domenico Santoro, hanno ben compreso quale inverecondo mercimonio di provvedimenti giurisdizionali si sviluppava a Catanzaro.
A Salerno è finito pure il rapporto relativo ad una cena tenuta in casa dell’avvocato Giancarlo Pittelli alla quale avrebbero partecipato otto togati. Il telefono cellulare del penalista – agli arresti da dicembre per concorso esterno in associazione mafiosa – era stato infettato con un “Troian” e, dunque, fungeva da vera e propria microspia, consentendo agli inquirenti di registrare tutti i colloqui sviluppati nell’area di normale captazione uditiva.
Alla vasta mole di materiale raccolto si devono poi aggiungere le confessioni rese da boss e picciotti pentiti. Al momento sono note, perché depositate in alcuni processi, solo le dichiarazioni rese dal vibonese Andrea Mantella ma vanno considerati tanti altri collaboratori di giustizia che potrebbero conoscere segreti inconfessabili.
Ci sono figli di capibastone che da tempo “cantano” con i pubblici ministeri così come personaggi influenti del Lametino, del Crotonese e del Cosentino. Se la corruzione ha infettato i palazzi di giustizia si potrebbe presto capire fino a quale livello. Le indagini sono naturalmente delicatissime e il riserbo mantenuto è giustamente impenetrabile.
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