I villaggi turistici sulla fascia ionica, a Steccato di Cutro, non erano solamente vessati dalle richieste estorsive del clan dei Mannolo-Trapasso-Zoffreo di San Leonardo di Cutro. In alcuni casi le strutture era state usate anche come deposito di armi della cosca. Lo dice chiaramente Dante Mannolo, collaboratore di giustizia 52enne, nei verbali allegati alle inchieste della Dda di Catanzaro, “Malapianta” e “Infectio”, nelle quali è coinvolto assieme ad altre 94 persone. «Sul tetto dell'alloggio dei dipendenti - riferisce il 23 luglio scorso il “pentito” ai sostituti procuratori Paolo Sirleo e Domenico Guarascio dal carcere romano di Rebibbia - erano custodite delle armi (dei kalashnikov di mio papà)». Il padre del collaboratore è Alfonso Mannolo, ritenuto dalla Procura antimafia capo della ‘ndrina attiva a San Leonardo.
Mentre l'edificio in questione si trova nel villaggio “Porto Kaleo”, vicino ad un terreno che - per il collaboratore - venne acquistato all'asta 4 o 5 anni prima per 200 mila euro dalle «quattro famiglie di San Leonardo di Cutro (Mannolo, Trapasso, Zoffreo e Falcone) e dalla famiglia Grande Aracri (di Cutro)». Ma quell'operazione finanziaria avrebbe nascosto un aspetto inquietante.
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