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Coronavirus e tribunali, l'avvocato vibonese Vecchio: "Rischia di uccidere la Giustizia"

E' aperto più che mai il dibattito sui cambiamenti che il Coronavirus ha portato nella vita personale e professionale degli italiani. Cambiamenti profondi, soprattutto per nel comparto Giustizia. A dare spunti per una profonda riflessione è l'avvocato Giovanni Vecchio, penalista vibonese che da ben 36 anni indossa la toga, per il quale il virus rischia di uccidere, anzi "uccide", la Giustizia.

"Io, da ormai veterano avvocato penalista, mi trovo oggi ad assistere alla introduzione, proposta dal Governo, dei commi 12 bis, ter e quater all'art. 83 del D.L. n. 18/20. Con tali norme si demanda ai giudici, senza il previo consenso dei difensori, la possibilità di decidere che il processo si svolga “da remoto”, ossia tramite applicativi come Skype e Teams, prodotti commerciali assolutamente inidonei a garantire sicurezza e protezione dei dati (sensibili) del processo. Si tratta, in parole povere, di smaterializzare l'udienza e la Camera di Consiglio dei giudici".

"Orbene, se contrariamente a quanto è avvenuto ormai da anni in ambito civile, il processo penale telematico non è stato introdotto - puntualizza il professionista -  c'è una ragione chiara e incontestabile. L'eliminazione del luogo fisico di udienza e della presenza fisica dei soggetti del processo mina irreparabilmente le fondamenta del processo penale, ovvero il diritto di difesa e il contraddittorio, che presuppongono l'oralità e l'immediatezza dell'accertamento giudiziale. Gli avvocati penalisti italiani sono consapevoli dell'eccezionalità del momento e dell'esigenza di conciliare la tutela della salute con il funzionamento della Giustizia e pertanto, tramite l'Unione delle Camere Penali Italiane, hanno offerto al Governo la massima collaborazione, in modo costruttivo e propositivo".

"Sono favorevoli, per esempio, ad ogni forma di semplificazione per quanto attiene alle comunicazioni (tramite l'utilizzo della PEC) e alla disponibilità degli atti di causa, ma  sono contrari al processo da remoto, ritenendo che tale modalità di svolgimento dell'udienza, della Camera di Consiglio e ancor di più degli atti di indagine, sia pericolosa per uno Stato di Diritto. I principi e le garanzie contenuti nella nostra Carta Costituzionale non possono essere derogati o sospesi neanche a fronte dell'emergenza causata da una pandemia, che, comunque, in alcun caso può costituire occasione per modifiche riguardanti una materia così delicata, quale  è quella del processo penale.
Ogni modifica riguardante questo settore - prosegue l'avv. Vecchio - non può prescindere da un attentissimo vaglio da parte di giuristi veri, prudenza, ponderazione ed un iter legislativo che non si può effettuare con un decreto. Purtroppo, invece, siamo oramai quasi quotidianamente sommersi da provvedimenti fiume estemporanei.  Provvedimenti che denotano nella migliore delle ipotesi preoccupante incompetenza e, nella peggiore,  un'allarme per la democrazia; anche per il timore che ciò che viene fatto in un momento di emergenza diventi poi permanente. Ciò non può essere consentito!"

"Solo chi non ha la minima esperienza del processo penale può ritenere che una udienza che si svolga attraverso lo schermo di un computer possa sostituire la partecipazione fisica dei soggetti e possa attuare quei meccanismi sofisticati di osservazione, valutazione e intervento. Il processo penale è connotato dalla dialettica, dal contraddittorio, dall'immediatezza e ciò non può avvenire attraverso un monitor.  Nei giorni scorsi ho vissuto in prima persona l’esperienza di una udienza da remoto. Ma se questa modalità di svolgimento del processo da una parte accorcia, anzi elimina alcune distanze, al contempo, paradossalmente, ne crea altre immense e incolmabili, rendendo addirittura evanescente il ruolo di coloro che vi partecipano: non solo quello  dell'imputato e dell'avvocato, ma anche del giudice".

"Non si tratta di  preconcetti o remore di chi dopo molti anni di professione - precisa il penalista - non è propenso ad accettare il cambiamento, bensì questioni di fondamentale rilievo che impongono una seria riflessione. Mi tornano alla mente le parole di Rocco Livatino, grande magistrato, il quale disse che affinché un giudizio sia giusto occorre che il giudice sia “disposto e proteso a comprendere l'uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione”. Si può immaginare che una tale comprensione possa avvenire attraverso uno schermo? A mio sommesso avviso non è possibile, perché è la fine del processo penale".

"Questa riforma, dunque, non solo decreta la fine del processo penale - conclude l'avv. Vecchio - ma è la spallata decisiva per distruggere una professione che inopinatamente viene sempre più sminuita e vilipesa, ma che invece è un vero e proprio baluardo della democrazia. E specialmente in periodi eccezionali come quelli che stiamo vivendo, durante i quali in nome dell'emergenza si limitano per decreto diritti costituzionali mentre il Parlamento tace, il ruolo di garanzia e anche di controllore dell'avvocato diventa ancora più importante. Non dobbiamo commettere l'errore fatale di dimenticare che sono occorsi centinaia di anni e molte battaglie per la conquista di tanti diritti fondamentali della persona, come ad esempio il diritto al giusto processo, dei quali a noi oggi sembra assolutamente normale godere. E dobbiamo avere chiaro in mente che per cancellare quei diritti basta soltanto un attimo!"

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