Ieri ha concluso il termine di isolamento previsto dalla quarantena, ma è in attesa del risultato del tampone fatto due settimane fa, mentre il secondo tampone non le è stato mai somministrato. Ma non è finita qui, perché Sara, una fuorisede che vive a Roma, racconta non solo dei ritardi ma anche del trattamento ricevuto da un addetto dell'Asp del Dipartimento di prevenzione quando ha cercato di avere informazioni sul risultato del tampone. Così ha deciso di presentare una diffida, facendosi assistere da un avvocato, all'Azienda sanitaria provinciale. La personale “odissea” di Sara è iniziata il 6 maggio quando, in treno, ha fatto rientro a Catanzaro. Giunta in stazione ha deciso di sottoporsi all'esame del tampone per il coronavirus. «Eravamo una mandria di persone che non sapeva dove andare e cosa fare - racconta -. Ammassati, a ridosso della stazione, abbiamo seguito i percorsi di uscita disposti su due file. Una era per la consegna dell'autocertificazione alla Polizia, l'altra per fare il tampone».
Sara fa parte dell'esercito di ragazzi e non solo che dal 4 maggio, dopo due mesi di lockdown forzato, hanno potuto fare rientro in Calabria. Fino a martedì sono stati controllati 5.114 rientrati presso la propria residenza. Di questi, 15 sono risultati positivi al tampone per il coronavirus e sottoposti all'isolamento domiciliare. La Regione Calabria ha infatti istituito delle postazioni nelle stazioni, agli svincoli autostradali e all'aeroporto di Lamezia. I medici del 118 hanno sottoposto a tampone i calabresi di rientro che nei giorni precedenti si erano iscritti sul sito della Regione. Migliaia di test che stando alle cifre diffuse dalla Regione ha fatto emergere 15 casi. Da questa settimana la Regione ha deciso di sospendere i test.
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