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Rinascita Scott, l'ex parlamentare Pittelli si rifiuta di essere sentito dai magistrati sardi

Giancarlo Pittelli

Si è rifiutato di essere interrogato per rogatoria dai magistrati sardi e ha chiesto di ritornare in cella senza rendere alcuna dichiarazione. È la decisione che ha preso Giancarlo Pittelli, avvocato penalista ed ex parlamentare di Forza Italia, detenuto nel carcere a Nuoro dopo l’arresto nell’ambito della maxi-operazione "Rinascita-Scott" condotta nel dicembre scorso dalla Dda di Catanzaro contro le cosche vibonesi.

Dopo la conclusione delle indagini preliminari, avvenuta il 18 giugno scorso, Pittelli, com'è diritto di ogni indagato, aveva chiesto di essere sentito dai magistrati. Il reato più grave che gli viene contestato è il concorso esterno in associazione mafiosa perché indicato quale punto di riferimento per le cosca Mancuso e Razionale-Fiarè-Gasparro ed anello di congiunzione tra la 'ndrangheta, la massoneria e il mondo dei colletti bianchi «nella veste sostanziale - é detto nel capo d’imputazione di uomo politico, professionista, faccendiere di riferimento per il sodalizio».

Dal 19 dicembre giorno in cui venne eseguita l’operazione l'avvocato Pittelli non ha mai lasciato il carcere. Sono state rigettate due istanze di scarcerazione davanti al Tribunale del Riesame e altre due da parte del gip. La Cassazione, a fine giugno, non ha ritenuto di affievolire la misura cautelare anche se ha ammorbidito la posizione annullando senza rinvio due capi di imputazione relativi alla violazione del segreto d’ufficio in merito alla vicenda che vede indagato anche il colonnello dei carabinieri Giorgio Naselli.

Secondo l’accusa i due avrebbero acquisito «notizie d’ufficio che dovevano rimanere segrete e ne rivelavano o ne agevolavano la conoscenza» in favore di un cliente di Pittelli e di personaggi vicini alle cosche vibonesi. Resta in piedi il concorso esterno per avere agito in nome e per conto del boss Luigi Mancuso, considerato al vertice di tutta 'ndrangheta vibonese. Pittelli, secondo i magistrati della Suprema Corte, avrebbe contribuito alla promozione e al rafforzamento della consorteria in generale.

Il penalista, secondo quanto garantito dalla legge, dopo la chiusura indagini aveva diritto ad essere ascoltato dai magistrati. Stando a quanto si apprende, quando si è trovato davanti il magistrato sardo e non uno dei titolari della Dda di Catanzaro della maxi-inchiesta (i pm Annamaria Frustaci, Antonio De Bernardo e Andrea Mancuso) ha deciso di tornare in cella senza parlare.

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