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Mesoraca, morto a San Benedetto del Tronto il boss, poi pentito, Felice Ferrazzo

"Chiopi Chiopi", ritenuto il capo dell’omonimo clan dal 1990 al 2000, ha cessato di vivere l’altro giorno, all’età di 66 anni

Anche i boss muoiono. Talora di morte naturale. Talvolta anche in disgrazia. E’ il caso di Felice Ferrazzo, denominato "Chiopi Chiopi", ritenuto il capo dell’omonimo clan dal 1990 al 2000, che ha cessato di vivere l’altro giorno, all’età di 66 anni, in un ospedale di San Benedetto del Tronto, nelle Marche.
“Comandavo una decina di persone, aveva raccontato nel 2010 alla Radiotelevisione della Svizzera Italiana: decidevo le nostre azioni e designavo le persone che dovevano essere uccise”. Seguendo i suoi ordini “il clan dei Ferrazzo ha gestito i traffici di droga, soprattutto cocaina, di armi e di riciclaggio di denaro. Aveva solide connessioni non solo nel Nord Italia, ma pure in Svizzera, in particolar modo a Lugano e a Zurigo”. Felice Ferrazzo, andato a scuola fino alla terza elementare, a 17 anni giunge per la prima volta in Ticino, dapprima nella regione di Locarno e in seguito a Lugano, dove risiede una folta comunità calabrese, in gran parte originaria di Mesoraca.
Il giovane Felice lavora come manovale nei cantieri. Un tipo di vita che tuttavia non durerà a lungo. “Se avessi continuato a lavorare nell’edilizia in Ticino, oggi sarei vicino alla pensione”, aveva detto con una punta di rammarico. “Le cose non sono però andate così”. Nel 1982 Felice Ferrazzo è condannato una prima volta per traffico di hashish e viene incarcerato nel penitenziario La Stampa di Lugano. Un anno e mezzo dopo evade di prigione e fa ritorno a Mesoraca. “Laggiù mi hanno battezzato, aveva ricordato, e sono diventato un “uomo d’onore”, un fottuto onore in fin dei conti”. A partire dal 1990, Felice Ferrazzo consolida la sua autorità alla testa del clan, eliminando coloro che gli fanno ombra, come l’ex capo famiglia Ernesto Russo. Felice diventa pure il padrone assoluto della zona che controlla grazie alle armi acquistate a Lugano o a Zurigo. “Le trasportavano attraverso le dogane di Chiasso o PonteTresa, nascondendole nei pacchi di riso o di caffè. Non ci controllavano mai”.
Per il clan dei Ferrazzo, la Svizzera era pure il luogo per riciclare il denaro sporco, in particolare nelle banche ticinesi e di Zurigo. Un tempo era temuto e riverito il boss ai vertici della ‘ndrina calabrese di Mesoraca, protagonista di scontri sanguinosi, scampato ad agguati, collaboratore di giustizia, poi arrestato per varie malefatte. Da quasi vent’anni viveva la difficile vita dei testimoni e aveva l’obbligo di non allontanarsi da un paesino della provincia di Campobasso, in Molise, dove era stato arrestato nel settembre 2016. Negli ultimi tempi era rimasto senza casa e la moglie faceva la badante. Una storia, in fondo, che potrebbe indurre a parecchie riflessioni. “Che guaio, come mi sono ridotto. Peggio di così non potevamo finire”, era l’amara e triste confessione di questo ex boss. Ma ormai era troppo tardi.

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