C’è ancora un cono d’ombra su cui gli inquirenti che hanno condotto l’indagine “Basso profilo” provano a fare piena luce. Restano degli interrogativi sul vero ruolo svolto dal sottoufficiale della Guardia di finanza in pensione Ercole D’Alessandro. Da giovedì è in galera, arrestato dai suoi stessi colleghi dopo una carriera esemplare: undici anni a Palermo con Giovanni Falcone poi la Calabria, il Goa e le indagini che hanno svelato i traffici mondiali dei narcos calabresi. Con la divisa delle fiamme gialle è entrato in contatto con i vertici non solo di tutte le forze dell’ordine non solo italiane ma anche della magistratura. Tutti nutrivano nei confronti di D’Alessandro «una incondizionata fiducia», scrivono i pm Veronica Calcagno e Paolo Sirleo. Subito dopo il suo pensionamento, secondo i due magistrati della Dda di Catanzaro, il sottoufficiale avrebbe avuto un unico obiettivo: dimostrare all’esterno di aver mantenuto inalterati i suoi contatti. Solo così si potrebbe spiegare quella che viene definita «una spasmodica ricerca di rapporti confidenziali con i suoi ex interlocutori istituzionali, anche millantando circostanze rivelatesi assolutamente destituite di fondamento».
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