Pagine e pagine omissate. Molte di più di quelle dei verbali depositati agli atti del maxi-processo in cui è racchiusa parte delle dichiarazioni rese da Emanuele Mancuso (avv. Antonia Nicolini), il primo pentito della potente famiglia di ’ndrangheta di Limbadi, che oggi testimonierà al processo Scott Rinascita, collegato con l’aula bunker di Lamezia Terme.
Affari della cosca ovvero strettamente legati alla famiglia di origine, summit tenuti in «casa di Sonny Cannizzaro a Limbadi», riunioni «che avvenivano in casa di una vecchietta, dietro la caserma dei Carabinieri», i giorni e le ore frenetici precedenti al tentato omicidio di Giovanni Rizzo e della madre Romana Mancuso, traffici di droga e collegamenti con gli Accorinti di Zungri – coinvolti nella stessa maxi-inchiesta in un filone riservato al traffico di stupefacenti – scorrono nei verbali resi nel 2018 dal figlio del boss Pantaleone Mancuso, alias l’Ingegnere, il quale spiega ai magistrati della Dda che «all’inizio» la sua scelta di collaborare era dovuta al fatto che riteneva lo zio del padre Luigi Mancuso «responsabile di aver venduto me e mio padre alle forze dell’ordine. Nel mio caso – evidenzia – per avermi utilizzato mandandomi da Leone Soriano, pur sapendo che fosse intercettato; nel caso di mio padre per aver concordato con lui un appuntamento a Joppolo, al quale lo stesso Luigi Mancuso non si è presentato. In quella circostanza mio padre che era irreperibile venne tratto in arresto. Mentre Luigi Mancuso, che evidentemente sapeva ciò che sarebbe avvenuto non si era presentato...».
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