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Lamezia, i clan agivano come un “cartello”

Le motivazioni della Cassazione sulla sentenza del processo Andromeda

Il boss Vincenzino Iannazzo subito dopo Il blitz nel 2015 dell'operazione “Andromeda”

Più che le doti e i rituali, sono i soldi il vero collante tra le cosche di Lamezia. È uno degli elementi che emerge dalla sentenza “Andromeda” emessa dalla Cassazione ad ottobre e di cui, adesso, sono state pubblicate le motivazioni. Nelle oltre 170 pagine vergate dal consigliere estensore Anna Maria de Santis (presidente Giovanni Diotallevi) si specifica come i giudici di primo e secondo grado abbiano «esaurientemente argomentato» circa le caratteristiche peculiari della ’ndrangheta lametina – in particolare delle cosche federate Iannazzo-Cannizzaro-Daponte – che si allontana dagli schemi tradizionali per creare «vincoli di partnership di affari da condurre nel campo delle estorsioni, delle truffe organizzate, degli stupefacenti e del traffico delle armi».
I giudici ribadiscono il principio secondo cui «la costituzione, da parte di un’organizzazione criminosa già operante, al fine di estendere il proprio campo di influenza, di un gruppo criminale associato che agisce in un determinato territorio con autonomia decisionale ed operativa, determina la configurabilità di una diversa ed autonoma fattispecie associativa». Quindi, nel caso in cui più cosche «raggiungano un accordo dal quale scaturisce una struttura operativa ed organizzata» prende vita un «autonomo ente criminoso».

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