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Vibo, il "patto" del boss per non perdere il figlio

Nuovi verbali del collaboratore Emanuele Mancuso che parla di un «accordo con lo Stato» di Scarpuni che si fece arrestare

L'aula bunker di Lamezia Terme dove si sta celebrando il processo Scott-Rinascita

Interessi nelle pompe di benzina e altri “affari” di famiglia nei verbali del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, depositati giovedì scorso dalla Dda nel corso del maxi-processo “Scott Rinascita”, in cui il pentito sta ancora deponendo. Dichiarazioni che risalgono allo scorso 25 novembre in cui il figlio del boss Pantaleone Mancuso (alias l’Ingegnere) – primo pentito del potente clan di Limbadi – riferisce anche di giornali e locandine che riguardavano esponenti del clan strappati e di una sorta di “patto” «con lo Stato» che vedrebbe protagonista il boss Pantaleone Mancuso (alias Scarpuni), cugino del padre e nipote del capo della ’ndrangheta vibonese Luigi Mancuso, appellato appunto come il Supremo. Secondo quanto riferito da Emanuele Mancuso, il boss avrebbe fatto un presunto accordo per non avere problemi relativamente alla custodia del figlioletto e quindi continuare a mantenerla. In pratica Pantaleone Mancuso – se ciò corrispondesse al vero dimostrando una non comune forza d’animo – si sarebbe “consegnato” alle forze dell’ordine, o meglio si sarebbe fatto trovare, pur di non mettere in pericolo i suoi rapporti familiari.

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