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Il boss "alter ego dello Stato" tra Nocera e Falerna

La Procura distrettuale tratteggia l’ascesa del potente capobastone Carmelo Bagalà

Il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, il procuratore Nicola Gratteri e il colonnello Antonio Montanaro

Quando era detenuto a Locri, con il benestare dei mammasantissima della Jonica, era diventato uno dei “referenti” del carcere, tanto che quelli di Africo e di San Luca si contendevano la sua compagnia durante i pasti. «Facevamo quello che volevamo… tu pensa che ci portavano le capre… e le scannavano là dentro… nell’aria». Carmelo Bagalà, 80enne ritenuto il «capo storico» della famiglia egemone tra Falerna e Nocera Terinese, nel penitenziario locrideo era per tutti «compare Carmelo». Lo raccontava lui stesso: «Appena sono arrivato io ... c'era in galera il figlio di Pelle, di 'Ntoni Pelle che io con il padre ero così... con tutti loro…». Originario di Gioia Tauro, da dove si è spostato mezzo secolo fa per stabilirsi definitivamente sul litorale lametino, avrebbe «documentati rapporti stabili» con le principali cosche del Reggino (Piromalli, Barbaro, Molè, Tripodi e Pelle), del Cosentino (Serpa, Gentile e Lanzino) e del Vibonese (Bonavota, Lo Bianco, Anello, Fiumara e Fiarè), oltre che con esponenti della camorra e di Cosa nostra. Molti pentiti lo inquadrano come referente su quel territorio della famiglia Iannazzo di Sambiase – poi divenuta un’unica cosca confederata con i Cannizzaro e i Daponte – e l’unica inchiesta (denominata “Bais” dal nome del suo negozio di autoricambi) in cui era stato coinvolto, prima di finire in carcere per l’operazione “Alibante” della Dda di Catanzaro, risale ad aprile 1998, per la quale fece poco più di un anno di carcere e poi venne assolto.

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