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Il giovane dottore di Catanzaro in prima linea nella lotta al Coronavirus

Lorenzo Isabello

Lo sguardo fisso al soffitto, stesa sul pavimento con la testa tra le nuvole, senza capire come ci fossi arrivata. Con le poche forze e con tutta la mia volontà, raccolgo le idee e da sola, come si è in questi casi, raggiungo il letto.

Comincia così la mia storia, faccia a faccia, col virus pandemico, che non mi ha lasciato per un lungo periodo.

Da due giorni mio marito era positivo al Covid ed io, che non avevo ancora  avvertito nulla, a mia volta risultai positiva, pur avendo assunto le cautele dovute. Segnalazione e regime di restrizione partono subito. Comunico a distanza con tutti. Il mondo resta bloccato fuori la porta di casa; in cambio, telefonate, wapp, chat e videochiamate a go-go, a tutte le ore, sempre con lo stesso tormentone: quali valori di saturazione, di febbre, a che punto la prova del gusto, la tosse stizzosa e il mal di gola? Sono i sintomi che ormai da più di un anno si leggono, si approfondiscono e si spiegano, per diventare l’unico oggetto di discussione, fanno parte delle telefonate di famiglia, si riprendono  col medico, con l’amica apprensiva e la vicina disponibile. Beh, simpatico racconto intanto che si ciancia o si legge, diremmo. Solo che, guardando bene, stavolta ci sei tu dentro quel mondo di dolore, di paura, di solitudine, sei tu a nuotare in quel mare di sofferenza che giorno dopo giorno toglie il respiro, limita l’ossigeno al cervello e comprime i rapporti col mondo. Quando il fiato, poi, blocca le parole, per tutti clicchi l’identico messaggio “Fratello Covid è in visita da me, spero di liberarmene presto”.

“E’ andata bene, ce la farà” mi rassicura dopo  la visita, un giovane dentro uno scafandro, un po’ medico un po’ marziano, piombato a casa nel mezzo dei lunghi pomeriggi da Covid-positiva, per l’assistenza a domicilio con terapia personalizzata. In preda a una forte astenia, dal letto, dal quale non mi alzavo ormai più, chiesi da paziente sfinita e rassegnata al proprio destino, ma con tono ironico e malizioso “E’ il medico USCA? Così posso testimoniare che esistete e rassicurare gli increduli”.

Il medico mollò le scartoffie e la custodia degli attrezzi e, girandosi con le braccia aperte come un cristo in croce, tutto di bianco, con le mani semiaperte fasciate dai guanti blu cobalto, il volto chiuso da doppia mascherina e visiera che lasciavano trasparire gli occhi azzurri e lo sguardo dolce, rispose con tono pacato: “Eccoci, siamo noi, pochi medici per tutto il distretto di Cosenza. Io sono di Catanzaro, ma presto servizio qui. Il mio cellulare personale è aperto fino a tardi, non mi è richiesto, ma per me fa parte della presa in carico del paziente”.

Lorenzo Isabello, 29 anni, è uno dei medici under trenta che da qualche tempo fanno parte delle Unità speciali di continuità assistenziali (Usca), le task forces che supportano i medici di base e vanno a visitare i pazienti Covid nelle loro case.

Lorenzo Isabello

” Questa esperienza mi ha insegnato che l’empatia è importante e che, nonostante le protezioni, occorre entrare in relazione con il paziente, - racconta Lorenzo, in servizio da gennaio all’area domiciliare dell’Usca di Cosenza, diretta dal dottor Sisto Milito- spesso ci vuol tempo a convincere i pazienti che schivano il ricovero ospedaliero”. Perché il medico è bravo quando “è preparato, ma la differenza è nella relazione col paziente. Se non c’è empatia, la cura funziona a metà” . In fondo “Abbiamo compensato i pochi mezzi che ci sono stati messi a disposizione, col rapporto umano. Siamo riusciti a tirar fuori il meglio di noi per sopperire alla carenza di personale e alle difficoltà della terza ondata, la peggiore in Calabria, per decessi e ricoveri”. Adesso “il picco è superato e abbiamo anche maggiori informazioni per combattere il virus”.

Per questi dottori, giovani laureati, alcuni ai primi anni della specializzazione, anche se rischiano il contagio, essere in prima linea è un’occasione da non lasciarsi sfuggire. ”Ci tenevo tanto, ho cercato questa esperienza con tenacia, anche se prima di vaccinarmi c’era preoccupazione, temevo il rientro a casa dai miei”, spiega.

Lorenzo si è laureato a Catanzaro e aspira alla scuola di specializzazione in ortopedia. Ha fatto tanti lavori durante il periodo universitario, tutti formativi, il barman, il cameriere, il modello, ha giocato in serie B nel rugby Reggio Cal. Fare il medico era il lavoro dei suoi sogni. L’inizio a Crotone, poi la guardia medica a Rogliano, quindi in una RSA di Aprigliano e l’impegno all’USCA di Cosenza, adesso, fino alla fine dell’emergenza. Ora, si trova in prima linea con coraggio e responsabilità a lottare un nemico invisibile.  “Ci sono casi che ci lasciano l’amaro in bocca, ma arriva anche tanta gratitudine, dai messaggi di ringraziamento fino alla “stimanza”. Lorenzo vede il lavoro come “ un universo di responsabilità ma anche di competenze”, dove si fa tesoro degli errori, ci si incontra e ci si confronta sui casi, si studiano i nuovi protocolli e le terapie adottate. “Ci interroghiamo dopo le lunghe ore di lavoro, di ritorno dai capezzali domestici dei malati”. Vita privata poca, lavoro H 12.

“ A volte è dura, ma ce la metti tutta” . Paura?  “No, mai, del resto questo è il nostro lavoro” afferma convinto Lorenzo.

 

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