Lo sguardo fisso al soffitto, stesa sul pavimento con la testa tra le nuvole, senza capire come ci fossi arrivata. Con le poche forze e con tutta la mia volontà, raccolgo le idee e da sola, come si è in questi casi, raggiungo il letto. Comincia così la mia storia, faccia a faccia, col virus pandemico, che non mi ha lasciato per un lungo periodo. Da due giorni mio marito era positivo al Covid ed io, che non avevo ancora avvertito nulla, a mia volta risultai positiva, pur avendo assunto le cautele dovute. Segnalazione e regime di restrizione partono subito. Comunico a distanza con tutti. Il mondo resta bloccato fuori la porta di casa; in cambio, telefonate, wapp, chat e videochiamate a go-go, a tutte le ore, sempre con lo stesso tormentone: quali valori di saturazione, di febbre, a che punto la prova del gusto, la tosse stizzosa e il mal di gola? Sono i sintomi che ormai da più di un anno si leggono, si approfondiscono e si spiegano, per diventare l’unico oggetto di discussione, fanno parte delle telefonate di famiglia, si riprendono col medico, con l’amica apprensiva e la vicina disponibile. Beh, simpatico racconto intanto che si ciancia o si legge, diremmo. Solo che, guardando bene, stavolta ci sei tu dentro quel mondo di dolore, di paura, di solitudine, sei tu a nuotare in quel mare di sofferenza che giorno dopo giorno toglie il respiro, limita l’ossigeno al cervello e comprime i rapporti col mondo. Quando il fiato, poi, blocca le parole, per tutti clicchi l’identico messaggio “Fratello Covid è in visita da me, spero di liberarmene presto”. “E’ andata bene, ce la farà” mi rassicura dopo la visita, un giovane dentro uno scafandro, un po’ medico un po’ marziano, piombato a casa nel mezzo dei lunghi pomeriggi da Covid-positiva, per l’assistenza a domicilio con terapia personalizzata. In preda a una forte astenia, dal letto, dal quale non mi alzavo ormai più, chiesi da paziente sfinita e rassegnata al proprio destino, ma con tono ironico e malizioso “E’ il medico USCA? Così posso testimoniare che esistete e rassicurare gli increduli”. Il medico mollò le scartoffie e la custodia degli attrezzi e, girandosi con le braccia aperte come un cristo in croce, tutto di bianco, con le mani semiaperte fasciate dai guanti blu cobalto, il volto chiuso da doppia mascherina e visiera che lasciavano trasparire gli occhi azzurri e lo sguardo dolce, rispose con tono pacato: “Eccoci, siamo noi, pochi medici per tutto il distretto di Cosenza. Io sono di Catanzaro, ma presto servizio qui. Il mio cellulare personale è aperto fino a tardi, non mi è richiesto, ma per me fa parte della presa in carico del paziente”. Lorenzo Isabello, 29 anni, è uno dei medici under trenta che da qualche tempo fanno parte delle Unità speciali di continuità assistenziali (Usca), le task forces che supportano i medici di base e vanno a visitare i pazienti Covid nelle loro case.