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Così il clan assunse il controllo sui terreni dei baroni di Badolato

I retroscena dell’inchiesta Pietranera, sfociata in quattro pesanti condanne

Il Castello neogotico dei baroni Gallelli a Badolato costruito nel 1853, con attorno un parco di ben 12 ettai

Solo quando i baroni Gallelli hanno deciso di denunciare, è emerso il prolungato sistema di assoggettamento e prevaricazione che il boss Vincenzo Gallelli detto “Cenzu macineju” e i suoi sodali avevano instaurato sui loro terreni. Fatti e circostanze messi nere su bianco nelle motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Catanzaro ha condannato in primo grado i principali imputati del processo scaturito dall’operazione della Squadra Mobile di Catanzaro denominata “Pietranera”, dal nome del fondo di proprietà dei baroni Gallelli. Undici anni di carcere sono stati inflitti a Vincenzo Gallelli, 9 anni ad Antonio Gallelli, 8 a Giuseppe Caporale e 7 a Francesco Larocca. Minacce, intimidazioni, danneggiamenti: così Gallelli e i suoi avevano imposto il controllo pieno e totale sui terreni dei baroni che non potevano più di fatto disporre del proprio fondo, senza la previa “autorizzazione” del boss. Introdotto nell’azienda come guardiano dei terreni, Vincenzo Gallelli ha via via assunto un ruolo predominante, fino a condizionare le scelte dei legittimi proprietari.

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