Il Gup del tribunale di Catanzaro, al termine di una lunga camera di consiglio, ha dichiarato il non doversi procede perché il fatto non sussiste nei confronti di Andrea Gregorio Cosco, 59 anni, medico specialista in Ostetricia e Ginecologia del Pugliese, e Saverio Miceli, 62 anni, medico specialista in Ostetricia e Ginecologia del Pugliese mentre ha rinviato a giudizio Fulvio Zullo, 60 anni, direttore del Dipartimento universitario di Ostetricia e Ginecologia presso il "Pugliese-Ciaccio" di Catanzaro; Roberto Noia, 50 anni, dirigente di I livello nel reparto di Ostetricia e Ginecologia del Pugliese; Menotti Pullano, 65 anni, medico specialista in Ostetricia e Ginecologia del “Pugliese”; Roberta Venturella, 36 anni, responsabile del Centro di procreazione assistita avviato nell’ospedale Pugliese. Per loro il processo di primo grado inizierà il 19 aprile.
L'accusa, a vario titolo, era quella di aver sottoscritto tredici piani terapeutici a favore di pazienti che non avevano fatto regolare accesso al reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’A.O. Pugliese Ciaccio, inducendo in errore l’amministrazione circa la sussistenza dei presupposti previsti dalla nota AIFA 74, nonchè sulla regolarità delle procedure cliniche seguite per la relativa diagnosi. Abuso d’ufficio in concorso è l’ipotesi di reato di cui devono rispondere Zullo e la Venturella. L’accusa riguarda il “traffico” di pazienti dall’ospedale catanzarese a due cliniche campane per sottoporsi alla procreazione medicalmente assistita. In particolare 177 future mamme sarebbero state indirizzate esplicitamente in due strutture campane. In una avrebbe operato un’associazione di professionisti riconducibile allo Zullo, nell’altra lo stesso professionista riveste la posizione di medico specialista in Ginecologia per il tramite di un’altra associazione di cui Zullo deterrebbe il 50% delle quote. Secondo l’accusa, sarebbero state indicate queste due cliniche come le uniche in grado di assicurare un esito positivo delle terapie nonostante, sottolineano gli inquirenti, in territorio calabrese vi fossero altre strutture sanitarie pubbliche che offrissero la medesime prestazioni sanitarie a prezzi inferiori. In questo modo avrebbero procurato un ingiusto vantaggio alle cliniche, e indirettamente allo stesso Zullo, per un totale di 719.482,74 euro pari alla somma versata da tutte le pazienti recatesi presso le sopracitate strutture sanitarie. Tutti i ginecologi indagati devono rispondere di abuso d’ufficio, falso e truffa per aver attestato diagnosi non veritiere ossia che la paziente era affetta da patologia rientrante tra quelle che consentono la prescrizione gratuita dei farmaci. In questo modo l’amministrazione avrebbe avuto un duplice danno, da una parte la spesa per il farmaco e dall’altra il mancato incasso del ticket. In particolare, per la posizione di Miceli, il Giudice dell’udienza preliminare ha recepito la tesi difensiva degli avvocati Enzo Ioppoli e Francesco Miceli che hanno dimostrato, con il supporto di documentazione probatoria e una consulenza tecnica di parte, come in tutti i casi il dottore Miceli avesse seguito un iter clinico-amministrativo perfettamente corretto e coerente con le metodiche mediche, iter che aveva portato le pazienti a beneficiare, avendone pieno diritto, dei paini terapeutici e, successivamente, a portare a termine le gravidanze,
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