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Il rogo al campo rom di Scordovillo a Lamezia ha lasciato macerie fumanti. La priorità è bonificare

Cumuli di rifiuti d’ogni genere hanno liberato fumi tossici. Associazioni ed esponenti politici dicono basta a questo ghetto

L’area andata a fuoco ai margini del campo rom, praticamente a poche centinaia di metri dall’ospedale Giovanni Paolo II, il giorno dopo l’incendio che l’ha devastata si presenta come una spianata di macerie ancora fumanti. Sembra il set di un film di guerra, una città sotto assedio distrutta dai bombardamenti o da un’esplosione nucleare.

Uno scenario apocalittico con le fiamme e il fumo che ancora salgono dalle viscere della terra nonostante i mezzi dei Vigili del fuoco stiano ininterrottamente smassando cumuli di rifiuti di ogni genere. Quintali di indifferenziata bruciata e da smaltire ma, prima di tutto, da spegnere definitivamente per evitare altri roghi. Una situazione di grave emergenza ambientale a cui si unisce la pesantezza dell’aria che, ancora ieri a distanza di diverse ore dall’incendio, aveva il suo caratteristico odore acre. Un lezzo maleodorante che si è sparso per diversi quartieri della città così come si era propagata la nube tossica mercoledì pomeriggio mentre le fiamme divampavano tra rifiuti pericolosi ed altamente inquinanti. Questa l’immagine inquietante di un campo rom su cui ancora una volta si sono accesi i riflettori della politica nazionale e locale.

Per il deputato lametino Domenico Furgiuele, «la situazione del campo rom di Scordovillo allarma un’intera comunità». Ho chiesto al presidente Spirlì – afferma il parlamentare - di attivare subito il ministro dell’Interno Lamorgese. La Lega chiede l’immediato sgombero dell’insediamento».

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