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'Ndrangheta: inchiesta “Crypto”, il ruolo dei narcos lametini. Scalese braccio destro di “zu Totò”

Nuovi dettagli emergono dall’inchiesta della Dda Di Reggio Calabria. Il 29enne si occupava dell’approvvigionamento della droga

La droga che veniva importata in Calabria da mezzo mondo arrivava nel Cosentino passando per Rosarno e i punti cardine di questi traffici erano “zu’ Totò” e “zi’ Binnu”. Così, infatti, si chiamavano tra loro «con macabra ironia, nell’esaltazione della loro appartenenza al mondo criminale», Roberto Porcaro, considerato l’erede designato del boss di Rende Francesco Patitucci, e Francesco Suriano, nipote del capoclan di Amantea Tommaso Gentile. Nei loro affari, secondo la Dda di Reggio, aveva però un ruolo fondamentale uno dei due lametini coinvolti nell’inchiesta “Crypto” che nei giorni scorsi, grazie alla decodifica dei messaggi che si scambiavano i narcos con base nella Piana di Gioia Tauro, ha smantellato un’organizzazione che sarebbe stata composta da ben sei gruppi di trafficanti collegati tra loro e che avrebbero agito in modo sinergico. Nell’edizione di ieri abbiamo dato conto del profilo, tratteggiato dagli inquirenti, di Andrea Mazzei, 37enne di Lamezia che avrebbe curato i contatti del gruppo Suriano in Spagna e avrebbe fatto «da referente ed intermediario con gli altri associati in territorio calabrese e laziale». Ma di rilievo è ritenuta anche la figura del 29enne Alessandro Scalise, che del nipote del boss di Amantea è cognato e di cui sarebbe stato il vero braccio destro. «Stretto collaboratore e persona di fiducia» di Suriano, Scalise è accusato di essersi occupato dei contatti con acquirenti e venditori e di aver fatto anche da corriere e fornitore proprio del gruppo di Porcaro.

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