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Crotone, sul giro d’usura l’ombra della ’ndrangheta

Il racconto dei collaboratori di giustizia nelle carte dell’indagine

«Ammazza Pino e vedi cosa succede con Roberto». Nicolino Grande Aracri voleva che Giuseppe (Pino) Turrà fosse ucciso assieme al fratello Roberto; e la ragione potrebbe essere stata proprio l’attività di “usura non autorizzata” esercitata dall’imprenditore cutrese coinvolto nell’operazione Turos. A raccontarlo è il collaboratore di giustizia Antonio Valerio, che nell’agosto del 2017 dice al sostituto procuratore Domenico Guarascio di essere stato contattato per gli omicidi direttamente dal boss di Cutro. «Pino doveva essere ammazzato giù (a Cutro ndr), ma prima doveva morire il Roberto». Perché? «Giù c’erano degli interessi che stavano facendo, soprattutto Pino stava facendo qualche cosa di usura e robe varia… Quindi l’ordine era di Cutro, ecco perché me lo dà direttamente Grande Aracri». E l’attività di usura era «non autorizzata… rompeva un po’ le scatole». Il racconto di Valerio è uno degli elementi sui quali la Procura basa la composizione del quadro in cui avrebbero operato i presunti usurai arrestati ieri, ai quali è stata contestata l’aggravante del metodo mafioso (poi concessa nelle ordinanze di custodia cautelare del gip per il solo Domenico Grande). Un quadro che lascia trasparire l’ombra della ‘ndrangheta, sia «per la vicinanza del Turrà a personaggi dallo spessore criminale non di poco conto», sia per la presenza di «alcuni soggetti contigui alla consorteria cutrese» quali intermediari in un incontro in cui si discuteva «di un prestito di denaro concesso da Turrà a Domenico Grande, nonché da quest'ultimo» ad un imprenditore.

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