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Crotone, ’ndrangheta e massoneria nel racconto del pentito Valerio

Il collaboratore di giustizia crotonese ritenuto attendibile dai giudici del processo “Malapianta” della Dda di Catanzaro

Alfonso Mannolo? «Era un massone» che poteva «contare su diverse amicizie, istituzionali e para istituzionali, anche nell’ambiente della giustizia e che potevano tornare utili per la sistemazione dei processi e quant’altro». Così il collaboratore di giustizia, Antonio Valerio, parla del presunto boss di San Leonardo di Cutro, imputato davanti al Tribunale di Crotone nel processo di primo grado scaturito dall’inchiesta “Malapianta” diretta dalla Dda di Catanzaro. Oggi il racconto del pentito cutrese, ritenuto attendibile dai magistrati, è contenuto nella sentenza con la quale, lo scorso 24 maggio, la giudice per le udienze preliminari distrettuale, Gabriella Logozzo, ha inflitto 43 condanne, per oltre 370 anni di reclusione, a carico dei vertici e fiancheggiatori del clan “sanleonardese” dei Mannolo-Zoffreo-Trapasso, coinvolti nel procedimento di rito abbreviato scaturito dall’operazione antimafia scattata il 29 maggio 2019. Secondo il gup, le parole di Valerio, già condannato nel processo “Aemilia” che mise alla sbarra i componenti della cosca Grande Aracri di Cutro trapiantata in Emilia, forniscono «ulteriori dettagli sulla capacità criminale della famiglia Mannolo all’interno del panorama delle famiglie cutresi».
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