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Tropea, 26 posti covid all'ospedale: lettera per far cambiare idea

Tra qualche giorno (venerdì prossimo) saranno attivati all'ospedale di Tropea 26 posti Covid nell'ala all'ultimo piano occupata attualmente da Medicina generale. Una decisione questa dell'Asp bocciata dal Comitato pro ospedale e da associazioni quale "Insieme per" che segue i pazienti oncologici. In questi giorni il dibattito si è fatto via-via sempre più acceso. A scendere in campo - contro il Covid Hospital - anche l'Associazione Sanità Bene Sociale presieduta da Tino Mazzitelli, già direttore sanitario del nosocomio tropeano, che in un documento - inviato  al sottosegretario  Dalila Nesci;  al presidente della commissione Sanità della regione Calabria,   Michele Comito; al prefetto di Vibo Valentia Roberta Lulli; al sindaco di Tropea Giovanni Macrì e ai sindaci  del comprensorio  - spiega perché il progetto non è fattibile.

"La notizia dell’individuazione dell’ospedale di Tropea quale sede deputata a ricevere i malati Covid ha destato notevole sorpresa non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche in tutta l’opinione pubblica per una molteplicità di motivi. Intanto, pur comprendendo la particolarità della situazione, va evidenziato come la decisione sia stata presa in assoluta solitudine da chi di dovere che, in questo delicato frangente, non ha ritenuto opportuno rendere partecipi le forze politiche e sociali e quella classe medica che universalmente viene indicata come protagonista nella lotta alla pandemia.

In secondo luogo, lascia perplessi l‘ubicazione del covid hospital a Tropea - prosegue Mazzitelli -  in quanto lascia sguarnite intere aree come il serrese, le zone montane e quelle di Filadelfia che vengono così penalizzate da una allocazione infelice in quanto non baricentrica.
Eppure, nella scelta della sede di Tropea - viene evidenziato nel documento  condiviso anche da Giuseppe Romeo (Consulta delle Associazioni),  Francesco Rotolo e Domenica Cortese (Comitato pro ospedale Tropea) e Antonio Piserà -  si è scelto di non tenere conto di questi elementi e della difficoltà logistica che deriva dalla scarsità di collegamenti mare montagna ma, sembra paradossale, queste lacune sono solo le più lievi che riscontriamo.
Va infatti ricordato che, a norma di legge, un reparto di malattie infettive deve sempre sorgere, come nel caso di Vibo, in una palazzina separata fisicamente dall’ospedale al fine di garantire i malati ivi ricoverati, i familiari che vanno a trovarli e gli altri pazienti ospitati presso la struttura sanitaria, qui si sceglie scelleratamente di allocare tutto nell’edificio principale non tenendo conto della presenza di un servizio di oncologia che ha in cura circa 130 pazienti, di un servizio di dialisi e nefrologia, di un affollato servizio di reumatologia, di un servizio di pronto soccorso... tutti luoghi ad alta affluenza che si troverebbero a condividere gli unici due ascensori che sarebbero comuni con il reparto covid.
Quali garanzie di sicurezza ci sarebbero per queste categorie di malati e per chi li accompagna in ospedale?
Perché parlare di attivazione di 26 posti letto quando si sta letteralmente sopprimendo il reparto di medicina generale per fare posto a questa nuova e pericolosa conformazione? Quale formazione specifica è stata data al personale, atteso che le malattie infettive necessitano di personale adeguatamente addestrato e, soprattutto, quale nuovo personale è stato reperito? Con quali bandi?
Si è riflettuto sul l’assenza di una terapia intensiva, di un adeguato laboratorio analisi, e del necessario servizio di microbiologia?
Da ultimo l’interrogativo più serio: si è tenuto in considerazione che la legge impone che gli impianti fognari dei reparti di malattie infettive devono essere separati da quelli del resto della struttura sanitaria, opportunamente grigliati e trattati prima di essere immessi nella rete fognaria ordinaria?
In poche parole, si ha l’idea che aprire un covid hospital a Tropea determinerebbe dei serissimi rischi per la pubblica incolumità sotto il duplice aspetto dei rischi da diffusione da percorsi interni, e del rischio di contaminazione delle acque marine, unico vero grande patrimonio dei nostri luoghi.
Tropea ed il suo ospedale non devono tirarsi indietro, ma non deve essere messa in pericolo l’incolumità dei malati, dei familiari e degli operatori che qui lavorano, nessuno ha intenzione di discriminare i malati di covid, ma avrebbe più senso trattare persone con queste problematiche solo nell’ultimo periodo di malattia, e comunque in presenza di rinforzi di personale, senza sopprimere il reparto di medicina e ripotenziando adeguatamente il laboratorio analisi e gli altri servizi accessori come la farmacia ospedaliera.
La logica seguita sembra invece diversa: appellarsi ad un’emergenza che ci vede tutti emotivamente partecipi per chiudere definitivamente il nostro ospedale che, a pandemia finita, non rivedrebbe più il suo reparto di medicina come non ha più rivisto quelli di chirurgia ed ortopedia e non ha mai visto, se non sulla carta, quello di geriatria.
La prova che non si tratta di una visione maliziosa la abbiamo da un elemento incontrovertibile:  le altre strutture scelte per i covid hospital sono tutte strutture di ospedali chiusi, solo Tropea fa eccezione.
Lo spirito di questo comunicato è quello di appellarsi a tutti gli attori politici e sociali per discutere serenamente e chiaramente di quanto sta accadendo, per cercare di impedire l’ennesimo scippo ai danni del territorio".

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