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Lamezia, i pusher e la cocaina colorata “tagliata” con l’Aulin all’arancia

Nuovi particolari dell’inchiesta contro un giro di spaccio in Piazza Mercato Vecchio

Nel magazzino di via Torre considerato dagli inquirenti il loro quartier generale, i pusher accusati di aver rifornito stabilmente di droga la movida e la “Lamezia bene” si sentivano tranquilli. La prova, secondo il gip Barbara Saccà che ha vergato l’ordinanza di custodia cautelare per 23 dei 99 indagati, l’avrebbero fornita loro stessi: Antonio Pagliuso e Domenico Bonali, ritenuti al vertice dell’organizzazione e finiti in carcere, avevano incaricato Maurizio Mazza (destinatario di obbligo di dimora) di verificare se ci fossero microspie nel garage in cui “tagliavano” e confezionavano la cocaina. I pusher sarebbero poi stati rassicurati dal fatto che la bonifica del locale fosse andata a buon fine e ciò, secondo il giudice che ha vagliato le richieste di arresto avanzate dalla Dda di Catanzaro, garantisce la genuinità del contenuto delle conversazioni registrate, tanto da far configurare la cosiddetta ipotesi di «droga parlata» in relazione alla mole di intercettazioni che rappresenta la gran parte del compendio probatorio. Lo stesso Mazza aveva incassato l’apprezzamento di Bonali e Pagliuso per come era riuscito a raffinare la cocaina – «Minchia cosa è uscito… l’olio!» – e si era orgogliosamente autodefinito «un maestro… il basatore di Lamezia!». Ma non tutti, evidentemente, avevano la stessa abilità. A un altro degli indagati con obbligo di dimora, Danilo Pileggi, è per esempio capitato di commettere un errore nelle fasi di taglio di cui era stato poi rimproverato da Bonali. La cocaina era infatti diventata di colore arancione perché vi era stata aggiunta una bustina di Aulin all’arancia.

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