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Lamezia, il business che ruppe gli equilibri e scatenò la guerra tra le cosche

L’omicidio di Antonio Perri avvenuto dentro un supermercato. Pax mafiosa giunta dopo il furto della salma dell’imprenditore

Aveva cominciato a lavorare in una bottega di alimentari a Nicastro, ma il padre dei tre fratelli Perri, Antonio, si era ben presto messo in proprio. A partire almeno dagli anni ’80 il suo business sarebbe stato la vendita di merce di provenienza illecita. Così, secondo diversi pentiti, sarebbe riuscito a mettere in piedi un impero economico le cui fondamenta si sarebbero consolidate attraverso i legami con le cosche lametine. Prima il clan capeggiato da Tonino De Sensi, poi i Cannizzaro, infine la famiglia Iannazzo.
L’ex killer Gennaro Pulice ha raccontato che suo padre Antonio faceva delle truffe proprio con generi alimentari che venivano poi rivenduti nei negozi di Perri. Un altro collaboratore di giustizia, Rosario Cappello, ha dichiarato che sin dagli anni '70 Perri avrebbe venduto merce rubata e sigarette di contrabbando. Anche Giuseppe Giampà, figlio del “Professore”, ha parlato dei traffici di merce rubata e contraffatta.
Il legame con i Cannizzaro sarebbe stato suggellato da un comparaggio: Perri ha infatti battezzato, secondo quanto ricostruito dalla Dda di Catanzaro, il figlio del boss Giuseppe Cannizzaro, Francesco. Questa vicinanza gli ha permesso di accrescere il suo patrimonio ma, allo stesso tempo, è entrato nel mirino dei Torcasio, che lo hanno individuato come vittima di estorsione. Lo ha raccontato lo stesso Pulice, mentre un altro pentito, Pietro Paolo Stranges (sposato con la nipote di Giuseppe Cannizzaro) ha raccontato che Perri si sarebbe rivolto al boss per via di un tentativo di estorsione che stava subendo a Decollatura, dove aveva un supermercato. Dopo l’intervento del “compare” non avrebbe più dovuto pagare nulla. Nel 1998 il vecchio capocosca fu però ucciso, così Perri si sarebbe avvicinato alla cosca Iannazzo, nel cui territorio sarebbe sorto nei primi anni 2000 il centro commerciale “Due Mari”.
Nelle carte della Dda viene ripercorsa una lunghissima sfilza di precedenti di polizia a suo carico che va dal 1967 al 2002. Nel 2003 anche Antonio Perri fu assassinato in un agguato che sarebbe stato ordinato dai vertici della famiglia Torcasio. Secondo i pentiti l’omicidio sarebbe stato deciso per diverse ragioni: i Torcasio non tolleravano l’avvicinamento agli Iannazzo dopo la morte di Cannizzaro, inoltre diverse delle sue attività commerciali ricadevano nel “loro” territorio e, soprattutto, ritenevano il defunto boss Vincenzino Iannazzo responsabile dell'omicidio di Giovanni Torcasio, che a sua volta imponeva le “mazzette” ai Perri.
La realizzazione del centro commerciale ha dunque segnato in maniera indelebile la storia della ‘ndrangheta lametina e della città stessa, attraversata in quegli anni da una sanguinosa guerra tra clan. L’epicentro economico della città si sarebbe infatti spostato sotto l’area d’influenza della cosca Iannazzo togliendo ai Torcasio la possibilità di spremere molte attività commerciali. L’omicidio di Perri, all’epoca 71enne, avvenuto il 10 marzo del 2003 mentre si trovava in un supermercato, ha dunque rappresentato un segnale durissimo. La guerra di mafia era poi culminata con gli omicidi di Antonio e Vincenzo Torcasio. E proprio come risposta, secondo gli inquirenti, è stata trafugata la bara di Perri: per la restituzione era stato chiesto un riscatto di 150mila euro, poi la salma è stata ritrovata nel marzo del 2008 seppellita a 50 metri dalla strada dei “Due Mari”. Secondo il pentito Giuseppe Giampà, il boss Iannazzo aveva posto come condizione imprescindibile, per raggiungere un accordo che sancisse la pax mafiosa sul territorio, proprio la restituzione di quella salma.

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