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Lamezia, una diatriba su un immobile “risolta” dalle cosche vibonesi

L’episodio è citato nelle motivazioni della sentenza Scott Rinascita

L'aula bunker di Lamezia Terme

Una diatriba su un immobile situato in pieno centro a Lamezia, su corso Nicotera, venne “risolta” con l’intervento di due presunti esponenti delle cosche vibonesi condannati in primo grado nell’abbreviato di Scott Rinascita. È uno degli episodi emerso dalla maxi inchiesta della Dda di Catanzaro e cristallizzato nelle motivazioni della sentenza dal gup Carlo Paris depositate nei giorni scorsi. Da una parte ci sono i fratelli Maurizio Umberto e Mario Artusa, noti commercianti di capi d’abbigliamento griffati coinvolti in Rinascita-Scott perché, secondo la Dda di Catanzaro, sarebbero vicini alla ’ndrangheta vibonese. Dall’altra i proprietari dell’edificio dove già c’era stato un punto vendita degli Artusa; si tratta di una famiglia di imprenditori lametini che, scrive la Dda, «per problemi economici e comunque forti di qualche “protezione” mafiosa reggina, decidevano di non rinnovare il contratto di affitto». Ai loro danni si sarebbe consumata una vera e propria estorsione di cui il giudice di primo grado ha riconosciuto colpevoli Pasquale Gallone, ritenuto un fedelissimo del superboss Luigi Mancuso e condannato (per questo e altri capi d’imputazione) a 20 anni di reclusione, e Gregorio Gasparro, presunto esponente di vertice del clan Fiarè-Gasparro-Razionale di San Gregorio d’Ippona e condannato in Rinascita a 16 anni.
Sarebbero stati proprio loro, assieme ad altri soggetti e «in adesione alle pretese degli Artusa», a ottenere alla fine la prosecuzione del contratto di affitto dell’immobile a Lamezia.

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