Beni per un ammontare di circa 1,5 milioni di euro, riconducibili all'ex parroco di Isola di Capo Rizzuto (Kr), Edoardo Scordio ed a due suoi nipoti sono stati sequestrati dai finanzieri del comando provinciale di Crotone, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro.
Il sequestro
Ha riguardato 3 fabbricati e una villa di pregio; un autoveicolo; la partecipazione totalitaria in una società, all’epoca dei fatti attività del settore del turistico alberghiero, tutti i rapporti bancari intestati o riconducibili ai proposti ed ai loro familiari.
Il provvedimento
E' stato adottato dal Tribunale di Catanzaro nell’ambito del procedimento di prevenzione avviato con la proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca, sulla base delle indagini di natura economico-patrimoniale svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Crotone, volte a verificare la provenienza dell’ingente patrimonio riferibile ai destinatari del provvedimento e la sproporzione rispetto ai redditi dichiarati e alla attività lavorativa.
Un'indagine partita nel 2009
Il procedimento di prevenzione, volto alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, è ancora in corso. Le investigazioni hanno riguardato le vicende patrimoniali degli interessati a partire dal 2009 e si sono avvalse delle risultanze investigative del processo «Jhonny», nel cui ambito il destinatario del sequestro è stato condannato a 8 anni e 8 mesi dalla Corte d’Appello di Catanzaro per associazione mafiosa.
Il "prete coraggio" condannato per mafia
Per quasi trent'anni ha guidato la parrocchia di Isola Capo Rizzuto, la cittadina del Crotonese troppo spesso finita agli onori della cronaca nazionale per essere patria di una 'ndrangheta sanguinaria e spietata. Don Edoardo Scordio, sacerdote rosminiano ormai ultrasettantenne al quale questa mattina la Guardia di Finanza ha sequestrato beni per 1 milione mezzo di euro, contro quella 'ndrangheta aveva alzato spesso la voce finendo a sua volta sulle prime pagine dei giornali per il suo coraggio. Se non fosse che nel 2017 un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha raccontato un’altra verità: con quella 'ndrangheta il parroco faceva regolarmente affari; sfruttando la sua posizione di correttore spirituale della Misericordia, l’associazione religiosa che per anni ha gestito il Centro per i migranti di Isola Capo Rizzuto, Scordio avrebbe messo a disposizione delle cosche i proventi dell’accoglienza.
Tra il 2006 e il 2015, per la gestione del Cara la Misericordia ha incassato 103 milioni di euro dei quali almeno 36 milioni, secondo i magistrati, sarebbero stati riversati nella «bacinella» dei clan per le esigenze di mantenimento degli affiliati o impiegate in partecipazioni societarie e altre forme di investimento in favore del sodalizio.
Ma non solo. La Misericordia in paese ha realizzato anche opere pubbliche come il centro rosminiano intitolato alla Madonna Greca a Capo Rizzuto, un’imponente costruzione con annesso convento e sala congressi che ha ospitato anche convegni importanti come quello con l’ex procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna.
In ogni caso, secondo la magistratura, grazie a quella montagna di soldi si era instaurata una pax mafiosa tra le cosche isolitane che si spartivano i guadagni. Del resto la pace era sempre stato l’obiettivo perseguito da Scordio che negli anni Ottanta e Novanta, quando a Isola Capo Rizzuto imperversava una sanguinosa guerra di mafia tra opposte fazioni, organizzò marce per la vita, presidi in piazza, assemblee. Un clima che portò a Isola Capo Rizzuto persino la troupe cinematografica de «Il coraggio di parlare», film tratto da un libro della scrittrice Gina Basso, imperniato su una storia di riscatto dal giogo mafioso.
Indimenticabili le omelie di fuoco di don Edoardo Scordio contro la violenza pronunciate in occasione di funerali di vittime di mafie che in quel periodo si susseguivano. Prese di posizione nette che tanti spunti hanno dato ai cronisti per titoli e articoli forti. Una vocazione, la sua, che ha sempre incarnato uno spirito critico senza sconti, come quando, alcuni anni fa, il sacerdote denunciò certe derive giovanili nelle notti di Isola, dopo che un ragazzo venne ucciso nei pressi di un locale pubblico per un banale litigio.
Per questo l’operazione Jonny, che nel 2017 lo ha portato in carcere, dove è rimasto per cinque mesi prima di essere assegnato ai domiciliari, ha scioccato l’intera comunità di Isola Capo Rizzuto. Al processo don Scordio lo ha ripetuto spesso ai giudici: «Io la mafia l’ho sempre combattuta». Ma al termine del giudizio di primo grado il Tribunale di Crotone, nel 2020, gli ha inflitto 14 anni di reclusione per associazione mafiosa e malversazione ai danni dello Stato, ritenendolo il punto di riferimento in seno alla cosca Arena. Condanna dimezzata dai giudici d’appello che, nell’aprile scorso, gli hanno inflitto 8 anni e 8 mesi di reclusione dichiarando la prescrizione dei reati di malversazione.
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