La «complessità» della sentenza ha «imposto» che per il deposito delle motivazioni passassero sei mesi dal verdetto con cui, a dicembre, sono stati comminati due ergastoli per il brutale omicidio di Matteo Vinci. Il 43enne di Limbadi è stato ucciso da una bomba piazzata sotto l’auto su cui si trovava assieme al padre, gravemente ferito ma sopravvissuto. Proprio sui genitori della vittima si sofferma il presidente della Corte d’Assise di Catanzaro, Alessandro Bravin, nella stesura delle motivazioni, spiegando perché ha deciso di trasmettere gli atti alla Procura ipotizzando una falsa testimonianza per Francesco Vinci, Sara Scarpulla e per il perito della difesa Mariano Pitzianti.
C’è però molto altro nelle 143 pagine che hanno in parte riscritto, almeno per ora, la storia giudiziaria di uno dei delitti più efferati degli ultimi anni. Il giudice Bravin motiva, in punta di diritto e di logica, l’esclusione dell’aggravante mafiosa dall’accusa di omicidio – per cui comunque l’impianto della Dda ha in larga parte retto ottenendo l’ergastolo per Rosaria Mancuso e il genero Vito Barbara – sostenendo che si sia trattato “solo” di una contesa di vicinato, pur «violenta, primordiale e cieca», per un pezzo di terreno.
La sentenza rappresenta poi una provvisoria ma pesante bocciatura, almeno rispetto ai fatti al centro del processo, per due pentiti ritenuti decisivi per decifrare le dinamiche della ’ndrangheta vibonese: Emanuele Mancuso e Walter Loielo.
Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro
Caricamento commenti
Commenta la notizia